Giudizi critici su “Avventure di Plenilunio” da PRO OMNIA

Quanto è stato scritto sull’opera letteraria di Filippo Petroselli a cura di Alessandro Vismara

“Dopo aver curato personalmente con amore e passione l’OPERA OMNIA dello scrittore Filippo Petroselli, in tre volumi in ottavo di complessive pagine 1340, è con vivo piacere che presento questo volume. È nato nel lontano 1910 quando il grande letterato Guido Mazzoni con brevi parole che sanno di profezia: «Vi è genio e fantasia» giudicò il primo lavoro letterario di Filippo Petroselli, allora studente. Mi auguro che questa raccolta di giudizi sia gradita ad ogni lettore e soprattutto a chi ama approfondire lo studio sulle opere di questo illustre Autore”. 

Alessandro Vismara

1950


  • Il GIORNALE LETTERARIO, Milano  (1950)  RICERCA IN CORSO (M. Gastaldi, 1948-1972 Presidente Concorso Premio Gastaldi) 

“La trama di questo libro non si racconta: è fatta, si direbbe, d’un frullo di petali di fiori nell’aria, di nonnulla pieni di grazia e di riflessi iridati. Originale nell’impostazione, originalissimo nello svolgimento. Avventure di plenilunio del Petroselli rivela uno scrittore che sa creare atmosfere magiche incantevoli. La liricità del titolo non contraddice il tessuto stilistico della favola, né la sua atmosfera vaporosa di sogno …”.

Vico Pellizzari

  • Il giornale di Vicenza                                  (dicembre 1950)           RICERCA IN CORSO

“Opera del valore di quelle dei nostri classici punto la trama è tenue e scritta in forma piana, accurata, efficace …”.

1950


  • In Corriere del giorno (4 luglio 1951)

Queste “Avventure di plenilunio” di Filippo Petroselli – editore Gastaldi, Milano – sono state coronate dal primo premio nel Concorso Nazionale bandito lo scorso anno per un libro per ragazzi. Il premio è al tempo stesso prova del valore del libro, della serietà del Concorso e dell’alta probità della giuria che le opere concernenti ha obiettivamente valutate, trascegliendo la migliore.

Filippo Petroselli aveva già dato reiterate prove del suo grande e sicuro talento di scrittore: scrittore di gusto e di fantasia, di ricca emotività, originalissimo sempre che sa dar vita a tipici personaggi, e non vita irreale ma vita che partecipa al palpito delle passioni, degli scoramenti, degli ideali umani.

Ma nel Petroselli, novelliere e romanziere, era facile cogliere spesso l’arte del poeta: poeta che sa dar voce alle umili cose e raccordare alla sinfonia dell’universo battiti d’ali e lucentezze di petali, cori di Grilli, e scintillio di lucciole. 

Era logico, quindi, che mettendosi di proposito a scrivere per i ragazzi egli attingesse a questa purissima vena di poesia che dentro gli sgorga. E il libro che ci ha dato è opera di poesia. In premio del buon profitto dell’anno, chiuse le scuole i genitori di Mughetto e Perseolino allentano un po’ le briglie: siano pur liberi di andare a trascorrere il pomeriggio con i compagni nei pubblici giardini o nell’ombroso parco di qualche vetusta villa aperta al pubblico dall’alba al tramonto. Una sera essi non hanno sentito, nel labirinto di annosi bossi dove si erano cacciati, il “si chiude” gridato dal custode: quando sono corsi al cancello lo hanno trovato sprangato e gli alti muri non consentono scalate.

I due distratti dovranno restar fino all’alba: all’inutile vagare succedono i terrori che reca la notte poi il sonno. Ma i vigili loro spiriti partecipano alla vita notturna del parco: ogni abitatore incute uno spavento o svela un mondo di insospettate cose sì che a volta a volta, sono angosciati, rallegrati, stupiti. Grilli e ragni, gufi e rospi, farfalle e bruchi, nottole e lucciole sono colti nel palpito della loro sconosciuta vita.

Filippo Petroselli ha saputo tener questo racconto in una sorta di atmosfera magica – le pagine son son tutto un ricamo di luci, di voci, tutto un succedersi di brividi, di scoperte, di meraviglie – necessaria per non cadere artisticamente nel banale e didatticamente nel retorico!

È nato, così, un gioiello un vero piccolo capolavoro da inserire senz’altro tra le creazioni più originali e felici, più suggestive e perfette della nostra letteratura per l’infanzia. La seconda parte del libro ha solo occasionale rapporto con la prima, ma anche qui quanto sapore e quanto garbo, quanta freschezza e vivezza nelle novelline tratte dal folklore ma rielaborate con un senso di così sano e schietto umorismo da formare motivo di giocondo e sincero godimento. A quale sussidiario di lettura per le scuole elementari non sapremmo consigliar libro più di questo sano e sereno, atto a dar conoscenze alla mente, commozione al cuore e diletto ed elevazione allo spirito.

RAFFAELLO BIORDI

  • OSSERVATORE ROMANO  (agosto 1951) RICERCA IN CORSO

Garbata storia che sta tra sogno e immaginazione e dell’uno e dell’altra conserva la freschezza e l’inverosimiglianza gentile. Lo stile discorsivo, fluido e preciso, contorna le cose e le fa balzare stagliate e vivide sullo sfondo della notte bianca di luna durante la quale i due ragazzi vissero la loro bella avventura. Sembra un vivace disegno, ben concertato per colpire e ricreare le immagini sulla fertile mente fanciullesca: e questo non è un piccolo pregio per un libro dedicato a giovanissimi lettori. Il volume, quindi, risponde a sani criteri estetici e didattici, ed è divertente e interessante … 

G. B.

  • OSSERVATORE ROMANO DELLA DOMENICA  (agosto 1951) RICERCA IN CORSO

Una gemma preziosa, tutta pervasa di viva intonazione fedrica: l’opera riporta alla mente le famose favole del grande poeta latino, ma qui oltre agli animali sono protagonisti due ragazzetti. Lo stile, sempre brioso e avvincente, ora melodioso e fantastico ora conciso e caustico, ben si attaglia allo svolgimento dell’azione ….

Di Martini                         

La non ricchissima produzione di letture giovanili s’è arricchita di questo avventuroso libro che, penso, sia stato scritto in momenti di buona vibrazione di fantasia e d’intelletto e con impegno di cuore, di mente e di passione.

Per quanto siano definite «Avventure di Plenilunio», mi sembra che su di esse sovrasti un bel sole carico di luminosa spiritualità, ed una sfarfallante infantile fantasia. Buono per i giovanissimi.

Mario Lizzani

  • Diana – Firenze            (ottobre 1951)           RICERCA IN CORSO

“Leggete, amici, e fate leggere questo libro ai vostri figli e mi sarete grati dell’invito …”.

Vincenzo Chianini

  • Corriere laziale        (novembre 1951)           RICERCA IN CORSO

“Filippo Petroselli, scrittore di eccezionale talento e artista nel senso più lato della parola, è riuscito a scrivere un libro in cui tutto è sollevato nella magia di una sfera luminosa, nel palpito di una poesia fatta di mille bagliori, di mille fosforescenze, di mille richiami, ognun dei quali a sua volta, suscita nel cuore un’eco, una vibrazione, una commozione …”. 

Alfredo Baccelli

  • PENSIERO MEDICO. MILANO              (dicembre1951)           RICERCA IN CORSO     

“Stile energico e suggestivo, un periodare facile ed un italiano perfetto, ricco di fantasia e di principi morali …”.

  • LA VIA SETTIMANALE INDIPENDENTE DI CRITICA – ROMA   (dicembre1951)         RICERCA IN CORSO

“E’ un mondo feérico, ricco di poesia e d ‘invenzione, in cui giocano ragazzi e animali, fiori e piante, cielo e terra; ogni elemento ricercato e arrivato con una cura affettuosa ed uno stile elegante dal narratore poeta. Graziosi bozzetti integrano la prosa classica, nella quale i giovani lettori non attingeranno eccitazioni morbose, ma suggestioni riposanti …”.

Giordani

1952


  • Giornale di Bergamo                                       29 gennaio 1952         

Scrittori nostri – Filippo Petroselli

Tra i romanzieri occupa un suo posto onorevole Filippo Petroselli. Ciascun suo nuovo libro riserba sempre qualche gradita sorpresa, traendo origine, sostanzialmente, da un candore quasi ingenuo, qua e là trasognato pur se vi hanno largo posto la preferenza etico-simbolica e l’umorismo che scorre senza alcuna acrimonia. Di tale linearità, che si allaccia alla più viva tradizione nostra, s’avvantaggia anche lo stile.

È recentissimo, per le edizioni Gastaldi di Milano, il suo racconto fiabesco “Avventure di plenilunio”, che ha ottenuto il premio della Fondazione editoriale stessa per la narrativa dei fanciulli. E protagonisti del libro sono proprio due ragazzi, i quali, intenti nei loro giochi, non avvertono il segnale di chiusura di un giardino pubblico, e, così, vi resteranno chiusi tutta la notte, dopo aver tentato invano di uscirne. Stanchi, si addormentano sull’erba di un prato rugiadoso, dove il sogno li coglie alla luce del plenilunio.

Petroselli, allora, ci trasporta in un mondo che gode le sue preferenze, un mondo dove l’irrealtà è così finemente congegnata da essere accolta con animo affascinato dal lettore. Siamo, perciò, nella vera arte, quella che, pur indirizzandosi apparentemente ai fanciulli, fa presa anche sugli adulti. Crediamo che il libro si adatti particolarmente alle scuole – e farebbero bene gli insegnanti a tenerlo nella dovuta considerazione – e alle famiglie per strenne e regali.

Ma qui vogliamo accennare pure ad un altro libro di ancor fresca data, dovuto alla fluida penna petroselliana, ed è la raccolta novellistica dal titolo “Allegro ma non troppo” (Milano, Gastaldi editore). Aduna scritti brevi, specie di “nugae”, per così dire, cioè divertimenti, ritagli a margine di fatiche più impegnanti, quali Petroselli aveva condotte, oltre che nel romanzo “Ruzzante” (Firenze, Bemporad, 1934) anche ne “Il sole malato” (Milano, Àncora editrice 1936) e ne “Il fabbro meraviglioso, id. id. 1937), per non dire de “L’ampolla della gioventù”, risalente al 1922 (Campitelli, Foligno) e che fin d’allora rivelò la personalità dello scrittore.

Nell’ “Allegro ma non troppo” ci troviamo di fronte a pagine che, pur volendo classificare “minores”, per l’assai più svelta stesura e l’assai più rapida conclusione, posseggono tuttavia le doti per venir prese in seria considerazione.

Volendo coglierne una sintesi contenutistica, si può dire che queste novelle lasciano trasparire sorrisi e rivelano qualche lagrima. Sono brani, insomma, della commedia umana, dove però anche il comico è visto con occhio non scherzevole, ma acceso di simpatia o di compassione umana.

Dopo questo, ci sembra poter riscontrare, con maggiore evidenza, in Petroselli tre aspetti che collaborano a determinare un unico organismo, qual è la compattezza sostanziale. Abbiamo il narratore di episodi e di tipi nel loro oggettivismo esteriore, onde la gioia intrinseca del narrare offrirebbe lo scopo precipuo delle pagine; e abbiamo l’umorista, e abbiamo il simbolista.

Lo scrittore possiede una visione ben sua della vita, un senso d’ottimismo nel giudicare uomini e fatti, pur quando potrebbero apparire crudamente veristici. Di tali sue facoltà egli usa con naturalezza che non è priva, però, del senso della giustizia. Gli umili, i deboli, gli oppressi sono i suoi amici, ed egli li ascolta e li comprende spesso muovendo in loro soccorso. Ci si sta bene in compagnia di Petroselli, e si prende parte volentieri a quanto egli ci presenta, gioiendo e dolorando con lui, nella spontaneità e semplicità di tali sentimenti che non vengono incrinati da alcuna rivestitura cerebralistica.

Gioiello del genere è il già citato “Ruzzante”, storia di un asino, ma, questa volta, di un asino … intelligente, il quale ha delle virtù innate e col suo agire, forse proprio perché alquanto incomposto c’insegna tante cose fornite di una filosofia spicciola e veritiera. C’è nel libro una satira fine e piena di brio sì che a noi piace collocarlo fra i pochi buoni lavori d’umorismo veramente italiano usciti in quest’ultimo ventennio.

Non era era spenta ancora l’eco del successo riportato dal “Ruzzante”, che il suo autore ci donava l’altro romanzo “Il sole malato”, per il quale Grazia Deledda giudicò: … libro ricco di idealità, originale e profondo …

“Il sole malato” descrive un ambiente provinciale, ma nell’ultima parte, che è la più notevole per inventiva e abilità stilistica, si eleva gradualmente fino ad ottenere un’atmosfera quasi di trascendenza, nella quale si valorizzano, sotto un aspetto tutto spirituale, pur gli atti contingenti e le figure un po’ minute dei protagonisti.

Ed eccoci al “Fabbro meraviglioso” in cui, se non viene più raggiunta la felicità artistica del “Ruzzante”, comunque leggiamo pagine dai dialoghi spigliati, talora salaci, dai personaggi tipici, dagli episodi scattanti e ruscellanti di buon umore.

Davvero non è cosa di tutti i giorni capitare contro romanzi come questo, sano, frizzante, che va diritto al suo scopo, che non si giova di alcun gioco sull’ambiguità, e soltanto sa usufruire per bene e con ragione degli avvenimenti, delle situazioni, degli stati d’animo, che un po’ tutti conosciamo, del resto, per esperienza lungo il nostro quotidiano cammino.

Chè, se una specie di favola è stata assunta dall’autore a ricamare il suo mondo è indubbio che la realtà della vita non viene mai perduta di vista, e l’umanità ha sempre campo di affiorare dovunque, mentre la nuclearità morale è raggiunta in pieno, senza per altro appesantirsi nella didattica che distruggerebbe buona parte dell’interesse artistico.

Qui sta il segreto di Petroselli romanziere: svolgere una tesi morale, fare del bene, come si dice, e di portarsi in modo che i lettori non si accorgano del proposito. Non è questa una dote sommamente apprezzabile per uno scrittore, specie ai nostri giorni?

Purtroppo i romanzi e le raccolte di Petroselli – meno i due più recenti libri, s’intende – sono esauriti. La loro felicità artistica, già accennata, dovrebbe a nostro avviso indurre qualche editore volenteroso alla ristampa. Sappiamo, ad esempio, che l’edizione de “L’ampolla della gioventù” –  che è un racconto di buon respiro, dove a protagonista è immaginato un novello Lazzaro, senza l’intervento divino, però, ma per una potenza ignota – di duemilaquattrocento copie era già esaurita pochi anni dopo la sua comparsa nell’ormai lontano 1922.

Armando Zamboni

1953


  • Lettera di Padre Innocenzo Casini Cappuccino a Filippo Petroselli (dall’archivio di famiglia)

luglio 1953

Illustrissimo e Chiarissimo Professore,

il suo “Avventure di plenilunio” l’ho letto tutto d’un fiato.

È un libriccino indovinatissimo per ragazzi, che si fa leggere anche dagli adulti.

Debbo dirle la mia impressione? Eccola.

Chi l’ha scritto è un poeta.

Un singolarissimo artista, tutto vibrante ad ogni pur minimo fiato, che dall’esterno o dall’interno, ne sfiora la delicata sensibilità sempre desta; dotato d’un senso misterioso e quasi magico, che umanizza le cose e gli animali, e ne mostra la faccia nella sua vera luce naturale che illumina ed attrae; che rallegra tutto armoniosamente con nessi strani e profondi che soltanto un poeta sa intendere e rivelare.

Nel suo bel libbricino, ogni cosa, qualsiasi oggetto insignificante in sé, prende nuova vita e genera stupori, terrori e curiosità e puerili meraviglie.

Tutto questo, per me, è poesia nel senso antico, religioso, eterno, che vede l’intimo d’ogni cosa e ne rivela lo stupefacente mistero.

E che Le dirò del recondito significato dei suoi principali attori?

Quel brutto ragno costantemente presente ai due piccoli protagonisti che, a vederlo fuggono, fuggono spaventati! (Quanto è buffo quel “fuggitelo sempre!” a pag. 27) i Cigni, i Barbagianni, la Torre, i Pavoni, la bella e dolce Flora incitante alla gara con la sua rosa azzurra, le impareggiabili descrizioni degli animali (bellissima quella dell’usignolo) ove, oltre l’artista si rivela il cacciatore esperto, profondo conoscitore delle loro misteriose abitudini, le sei perfette novelle che chiudono il libretto, ed altre meraviglie ancora nascondono un vero trattato di pedagogia. Permetta, dunque, caro Professore, ch’io mi congratuli sinceramente con Lei e Le esprima l’augurio che “Avventure di plenilunio” venga letto da molti non solo, ma possa vedere presto altri fratelli, dal proprio padre ancor giovane il quale, con le sue molteplici produzioni letterarie e col Premio Gastaldi naviga, ormai, nel mare dell’arte a vele spiegate. Caro Professore, molto cordialmente La ringrazio del dono e della dedica. E mentre Le prometto che mi prenderò cura di far conoscere il Suo bel libro, con affetto La saluto e benedico

Viterbo 18-VII-1951

Suo Devotissimo Amico

P. Innocenzo Casini

Cappuccino

P.S. Ossequi e cordiali saluti a tutti di casa

1954


  • Corriere Siciliano (14 luglio 1954) 

Filippo Petroselli scrittore per l’infanzia

Filippo Petroselli è nato a Viterbo il 17-10-1886. Esordì, ventenne, con una raccolta di novelle allegoriche intitolate “La Via”. Un po’ più tardi si dedicò a studi di etica e di arte intorno alla Commedia dantesca rivolgendo le sue indagini, attente ed elaborate, per quanto strettamente sintetiche, alle parti più vitali del poema, nel quale ha saputo scorgere punti di contatto con la moderna anima nostra. È d’altro canto, poeta di schietta e fresca ispirazione, come documentano i suoi inni “Alla Martana” ed “Alla Bizantina”. Ma se fece le due ultime guerre e fu tra i primi in linea al fronte, ebbe anche tempo, in quei sei o sett’anni, di studiare tipi e figure che ritrasse, nel 1922 in “L’Ampolla della gioventù” o in “Storielle paesane” di cui si disse, non a torto, bene. L’insegnamento e la professione di medico non l’hanno poi distratto da una collaborazione saltuaria, ma intensa, nei migliori quotidiani e nelle migliori riviste della penisola.

Un uomo, dunque, che, purché lavori, vive e crea, insaziabile com’è di bellezza e di conquiste, felice di una felicità suprema, modesto di una modestia innata, diritto e terso come acciaio. Scintilla al sole e splende di luce propria. È una lama che fende l’aria per colpire nel segno; ma non fa male. E, se lo fa, è tutto bene che ne viene. Così è la sua vita come la sua arte; un umorismo che sferza e sana, privilegiato da una moralità tutt’altro che bigotta, ma spiritualmente concepita in un ordine principale di idee eminentemente filosofiche e profondamente psicologiche e sociali.

Certo non sono pochi gli scrittori che all’infanzia hanno dedicato vere e proprie opere d’Arte, come è pur certo che non pochi artisti hanno rivolto la loro attenzione alla gioventù con altrettante opere d’arte; ma rari sono i casi in cui un Artista, lungi dal voler fare opera educativa, riesce – in virtù di profonda e sana educazione morale – a dettare un autentico vangelo d’arte sfruttando il campo dell’umorismo con una genialità che conduce fino ai visceri della più palpitante umanità.

Filippo Petroselli si dà a scrivere un romanzo, che intitola Ruzzante, muovendo da un asino che ha la sua storia, e dirci quasi la sua leggenda, o se più vi piace, la sua favola, scaturita da un complesso di vicende divertenti e caustiche, capricciose e ostinate, argute e mordaci, ma tutte derivate da una ragione essenziale di vita e di pensiero che culminano in un grande dramma egoistico e beffardo mascherato da una finzione sociale che dovrebbe provare lo staffìle.

Ma qui è da ritenere che l’opera di arte ha una funzione formativa, più che informativa, e, perciò, eminentemente educativa, tanto più se prende le mosse dal rappresentare nel riso e nel sorriso il lato comico e dolorante della vita che piega la schiena per occulte piaghe o per tenacia di vizio.

È un’arte difficile, appunto perché è arte: ma Filippo Petroselli si accinge ad operare il miracolo con mano di maestro, con pensiero magico, con anima innamorata ed entusiasta, con ingegno fervido ed alacre esercitato in acute indagini spietate ed in critiche atroci, ma garbate.

Il ridicolo, in questo romanzo, ha i lampi della rivelazione, e quel che vi è di serio ha tanto di amarezza che ci lacera l’anima, sì che il grottesco, appena accennato e sfiorato, si sfascia sotto il piccone del lancinante grido dell’uomo raffigurato nel destino di una povera bestia da soma.

Insomma, a differenza del Cervantes, il Petroselli ci raffigura un asino che vuole per sé tutte le storie della vita, e tutte le vuole avvivare di episodi allegri per condurci, lungo la strada di osservazioni tormentose, ad una logica conclusione che è commedia e dramma, illusione e realtà, e, se si scende fino in fondo, maschera e tragedia. L’utopia qui è di riverbero. Poco importa se il senso di pessimismo paesano non si comporta con la natura delle diavolerie asinesche a fine costruttivo.

Petroselli non disperde le sue energie inventive. La sua efficacia narrativa ha limiti di quadratura scenica e potenzialità drammatica invidiabili, anche là dove la pittura sembra sbiadita per monotonia di colori e la tavolozza priva di estasi. In compenso vi è qualche lembo di cielo incantevole e vi sono voci che si ripercuotono a lungo nella nostra anima. Il paesaggio è vivo, secco, intonato, non vaporoso ed enfatico.

Ma quel che più conta è il valore assoluto di questo romanzo di cui si è tanto discorso in Italia e all’estero – e particolarmente in Francia – senza che ancora – a proposito di pregi e di rivelazione – sia messa in chiara evidenza la rivelazione di un superbo temperamento di artista formativo, nonostante il Cesareo abbia definito il libro “scintillante di schietto umorismo” e il Farinelli, Orano, Rivalta – critici abbastanza difficili ed autorevoli – l’abbiano esaltato incondizionatamente. Insisto su questa tesi per dimostrare appresso come e perché Filippo Petroselli sia l’unico scrittore italiano degno di essere additato alla gioventù come maestro di lingua e di cesello, e perché – a conti fatti – il suo romanzo debba ritenersi mezzo di educazione diretta della gioventù con coefficienti morali dinamici a sfondo superbamente umoristico.

La trama, appunto perché sembra facile nella sua estensione, è abbastanza seria e disciplinata nella sua comprensione. Varia e dilettevole, ha ricami di ombra molto eloquenti e penombre suggestive.

Dappertutto è la vita e la miseria umana, la gioia di volere e la prepotenza di volere, la negazione di volere essere e tirannia di non potere essere. Essere e non essere per essere. Ecco il dramma che scaturisce dal ridicolo, ecco la tragedia che l’umorismo rende sollazzevole e meno disperata. Ma tutto per merito di un asino!

Asino buono, onesto, originale e, soprattutto, interprete dei pensieri e dei sentimenti dei padroni. Quando una cosa non gli va, la rompe con tutti, persino coi giudici e con la giustizia, con le ragazze imbellettate e con un monsignore che fa molto attendere i festaiuoli per la benedizione delle bestie; con l’oratrice che inaugura un monumento cittadino, con una giovane e bella contadina che ha acceso i desideri del sor Biagio, col domatore che vorrebbe farlo pasto dei suoi leoni: con tutti. E se gli piglia il verso di fare il filosofo, lo sa fare meglio di noi, più di noi; per lo meno ci insegna qualche cosa, che diciamo di conoscere e non conosciamo. Dunque un asino filosofo? Sissignori. Ed è merito di Filippo Petroselli averlo saputo creare con una linea di condotta diritta inflessibile, moralizzatrice …

C’è un fine morale nella trama di “Ruzzante”? Non vi è dubbio che vi sia ed è sempre così presente, dalla prima all’ultima pagina del libro, che esula dalle architetture scolastiche e tosto diviene lo spirito animatore del romanzo.

“A me sembra di trovare qualche affinità fra le intenzioni del Petroselli e certi atteggiamenti etico – filosofici del grande Cervantes, se non fosse altro per la rappresentazione fantastica in cui si viene risolvendo il contrasto tra ideale e realtà – osserva Gino Rovida – tra immagini, segni, aspirazioni e crudezze, ingiustizie, malvagità inevitabili del mondo, tra la consolatrice armonia della creazione ed alcune sconfortanti dissonanze della vita”.

Il mercato dei maiali, la benedizione degli animali nel giorno di S. Antonio, l’incontro di Ruzzante con la madre morente, la morte della vecchia asina in mezzo alla via che doveva condurla al mattatoio, sono episodi che soltanto un’artista consumato può rendere; e soltanto Petroselli ha potuto scolpire caratteri universali come sor Biagio, Gianmeco e la serva “curiosa” …

“Stile semplice – rileva Giuseppe Longo – corretto, colorito che ti da delle pagine veramente squisite di paesaggi laziali e di folle e tipi umani con mano sicura d’artista”.

Ma è un libro soprattutto che starebbe molto bene “in mano degli educatori moderni – dichiara G. Foddai – particolarmente di signore mamme che, almeno con l’esempio, pare non sappiano insegnare altro alle loro figlie se non il libro della bellezza”.

L’autore – dice Avi in “Mare” insegna ai giovani come l’arte – quando sia degna, pura ed alta, quando miri a temprare il carattere e ad elevare lo spirito – possa da un frastuono fare un’armonia …”. Fermiamoci su questo punto. Se la critica avesse guardato attentamente nel poderoso organismo di questo romanzo; se lo avesse aspirato a pieni polmoni, avrebbe colta subito la profonda ispirazione morale che lo anima, e ne avrebbe rilevata la grande efficacia educativa che traspare e affiora di continuo con un crescendo armonico e spontaneo che rifugge da tutti gli artifici e le intenzionalità del mestiere.

Filippo Petroselli, scrivendo il capolavoro attuale, non ha perduto d’occhio il suo popolo e la sua missione. Sa, per esperienza, che la gioventù, come l’infanzia, vuole essere educata con esempi di vita e di arte, e sa che la vita e l’arte non possono essere disgiunte, nella loro funzione di universalità, dalla fatalità dell’io.

Egli assolve questo compito come per imposizione di una legge interiore che lo avvicina alla gioventù assetata di bellezza e di gioia, di serenità e di lavoro.

Ha mano di scultore, anima di artista, cuore pieno di fede, ingegno illuminato, tavolozza ricca, emotività fine; e si dà alla creazione con una intima gioia di rendere e con una segreta sofferenza di sentire.

Opera d’arte autentica, organica e solidissima, non si presta a riassunti ed a smembramenti: si deve leggere per intero per poterla gustare, penetrare, seguire e convenientemente apprezzare.

Non è un romanzo e non è nemmeno una storia potrebbe essere un resoconto esclusivamente moralistico, ma è anche qualche cosa di più; anche dal punto di vista artistico: è un’opera che sviscera la vita, la società, gli uomini, le cose, e li coglie nel loro lato debole e li bea di salutare ironia, di satira acre e pungente, e tende a redimerli attraverso il crogiuolo di una esperienza lancinante ma fervida, attiva, potentissima leva per il benessere sociale.

Un libro che va per tutti e che dovrebbe penetrare nelle nostre scuole se è vero che l’arte è – come deve essere – funzione altissima di ardente spiritualità creatrice e formatrice.

Perché Filippo Petroselli è – a mio giudizio – uno di quei pochi scrittori ricchi di spirito originale che istruisce dilettando. Scintillante, brioso, ricco di fantasia e di ardore, caustico ma non maligno, suscita il riso per tergere le lagrime, si compiace della comicità con infinita pietà per gli uomini, ai quali vuole scaldare il cuore sanguinante con la fiamma del suo calm(p)o umorismo consolatore.

Ma l’umorismo è amarezza, è senso tragico di vita: l’artista si eleva sulle piaghe dopo averle scoperte, e fa piovere sugli afflitti i raggi del suo sole.

Ogni capitolo di “Ruzzante” ha il sapore di una macchietta, ma, in sostanza è un’acquaforte viva, trattata con magico bulino. L’umorismo è di una finezza insuperabile; ne riscontriamo della stessa lega, in Dickens più che in Cervantes. Ma il libro bisogna centellinarlo per poterlo gustare. Letto d’un fiato, si perde il senso altamente filosofico e umano che vi serpeggia da una pagina all’altra e non vi si può scorgere tutta l’amarezza di cui trabocca l’animo dello scrittore.

***

Nel complesso, l’opera del Petroselli, –sia che si rivolga ai grandi che ai giovani o ai piccoli – non è quella di un precettore sentimentale o di un moralista da cattedra, ma è arte viva, che se talvolta attinge alla morale ed alla scienza, non fa di esse, come accade al De Amicis, per esempio, per il contenuto morale di certi suoi libri, regole fisse e precetti a tono volutamente didascalico e scientifico in pagine manierate e scialbe.

La sua è una prosa personalissima, che non risente della maniera di alcun altro scrittore o di questo o quel modello. Affettuosa, pittoresca, agile, armoniosa, fluida e schietta ha un sapore prevalentemente umano, perché non è convenzionale, capziosa, studiata, stucchevole; ha insita originalità di impasto e di linea perché è immediata.

Ed i problemi, per così dire, che in questa prosa si agitano, sono tutte persone viventi, con un carattere proprio, con una propria anima, con un mondo proprio: da “L’ampolla della gioventù” (olimpica serenità della morte) in cui è da Maestro trattata la battaglia tra i giovani e gli assai vecchi attorno all’Ampolla, è davvero stupendo il trionfo della gioventù con l’imposizione di quella, al “Fabbro meraviglioso”, in cui giganteggia il paese dove tutti erano diventati uguali e belli, e tutti, di poi, costretti a far marcia indietro verso inesorabili leggi della natura, alla quale si erano sottratti per i grandi guai in cui erano divenuti vittime. “Il sole malato”, che Grazia Deledda disse degno del premio Nobel, è del primo dopoguerra; mira alla fratellanza universale e conseguentemente, condanna la guerra. 

Temperamento vivace d’artista maturo, il Petroselli è però libero. in questi tre libri, da preoccupazioni logiche o scientifiche o sociali, e la materia che tratta, e la stoffa che lavora, e le creature che plasma, sono tutte vivificate dall’ardore lirico del narratore; capace, invero, di mantenere la più gagliarda impersonalità della rappresentazione, che è, non di rado, poetica e scultorea insieme.

Quando perviene alle novelle di “Allegro ma non troppo” e ad “Avventure di plenilunio” la sua arte si rivolge principalmente alla gioventù e all’infanzia. È quell’arte assai difficile che ci aveva dato un autentico capolavoro: “Ruzzante” di cui attendiamo da tempo la seconda edizione col Bemporad, e di cui la rinomanza ha ancora vasta eco In Italia.

In un volume uscito in questi giorni, dovuto allo ingegno vulcanico e perspicace e al coraggio veramente raro di Furio Lopez Celly, che lo intitola modestamente “Osservazioni su alcuni narratori italiani contemporanei” (Vittorio Bonacci Editore Roma 1952 lire 800), apprezziamo un giudizio veramente sincero e scrupoloso scrupoloso su quest’ultima produzione del Petroselli, che il Lopez Celli definisce “arte originale e semplice”. Continua il Lopez: 

“Scrittore che merita tutto il nostro rispetto … è Filippo petroselli che nelle novelle ci dà l’intimo e poetico sapore del Viterbese, ci fa vivere, come la Pietravalle, una vita di provincia: maestre, cacciatori, albergatori, contadini. Specialmente la caccia, che è un pretesto per renderci evidenti le belle foreste solitarie dei Cimini, è un tema che il Petroselli usa con predilezione, con calore, con più abbandono, con un’urgenza narrativa più imperiosa, ora con pennate rudi e violente a sfondo folkloristico, ora con calma rappresentazione. Il Petroselli ha scritto anche bei libri per ragazzi. Si vegga quanta poesia, quanta delicatezza di tocco, quanta architettura di sogno, d’incanti, nel libro “Avventure di plenilunio”, in cui un mondo reale è visto attraverso i veli leggiadri della fiaba. Soltanto un poeta poteva creare questi mirabili paesaggi notturni, e rendere, con tanta purezza di tocco, la fantasmagorica bellezza misteriosa che le cose pigliano sotto il chiaro il chiarore lunare.

Il Petroselli ha davvero l’anima di poeta. Gli oggetti, che durante il giorno dissero un loro linguaggio fantastico, perché il gioco misterioso d’ombre di luci crea, nel pensiero dei due ragazzi che il Petroselli fa muovere ed agire, un timore in contrasto con lo spirito dell’avventura e della curiosità. E nell’avventura di questi due fanciulli vivono, insieme, elementi indispensabili, la flora specialmente la fauna delle paese: lumache, ghiri, nocciolini, ragni, gufi ect.

Per questo bel libro della letteratura infantile, potrei paragonare il Petroselli ad Emma Perodi delle “Fiabe dei fiori”, libro oggi ingiustamente dimenticato …

Ma torniamo al Petroselli, che ha una produzione narrativa abbastanza copiosa. In “Ruzzante”, qualche pagina è degna del Verga, quando specialmente, lo scrittore prende a considerare l’umile gente del Viterbese, inquadrata entro lo splendido scenario dei Monti Cimini. E il paesaggio è sempre sentito e rappresentato da poeta visivo per cui esso non si presenta mai coreografico. Ci sono poi, in “Ruzzante”, delle scene comiche di buona lega. Il Petroselli è un umorista che sa bene contemplare con le venature di comicità il mondo del dolore e delle sofferenze. I caratteri sono evidenti, il sentimento della natura sempre desto e vivace. Tutte queste virtù, insieme alla sicurezza della lingua e dello stile, ci additano, nel Petroselli, uno dei più puri e nobili prosatori che l’Italia abbia ai nostri giorni”.

Il giudizio del Lopez Celly ci lusinga soprattutto perché è contenuto in un volume, come dianzi accennato, coraggioso, sincero e serio.

Sebbene non presenti un robusto midollo spinale e non abbia una vera quadratura organica (che per la sua natura, non poteva avere), manifesta tuttavia un singolare principio d’indipendenza ed una cultura straordinaria. Aggressivo talvolta, portato alla polemica e alla stroncatura, si limita spesso a punti di vista strettamente propri, non allarga il panorama delle sue vedute, resta, qua e là, alla superficie, non ricrea l’opera d’arte che giudica e dalla quale, sebbene di rado, si posiziona in punti deboli o falsi. Ma ci conforta il fatto che l’opera del Lopez – profondamente onesta e nobile – non schiava di alcun sistema e non legata ad alcuna setta letteraria, nell’insieme si eleva dalle opere consimili e si impone per la lucida chiarezza dell’esposizione, per l’originalità delle battute, per la grandiosità dell’orizzonte cui si dirige la sua attenta disamina e le sue penetrazioni psicologiche con innato gusto estetico sorretto da una elaborazione e da un equilibrio che denotano la potenzialità dinamica ed investigatrice di uno spirito sano e di una mente acuta e fosforescente (1).

Bisognava però rilevare, a proposito dei libri del Petroselli destinati alla gioventù e all’infanzia, che l’autore non si rivolge a questo genere di letteratura per motivi occasionali, ma perché il mondo lirico delle immaginazioni fiabesche aderisce istintivamente alle conoscenze dirette del mondo folkloristico tanto sapientemente sfruttato dal Nostro e di cui lo stesso Lopez fa cenno.

Come la Maremma, per esempio, è viva nelle opere del Paolieri (per citare un fine artista del terzo periodo della nostra narrativa) e si delinea in una suggestiva rappresentazione di tipi e di caratteri provinciali, così il Viterbese domina la migliore produzione del Petroselli il quale degli elementi folkloristici si serve per un alto fine d’arte che più direttamente parla all’anima del fanciullo.

Che arte difficile è quella per l’infanzia, e che anima misteriosa e divina e quella del fanciullo!

Ricordo, a proposito, i tentativi dello Zuccoli, diretti ad indagare l’anima dei fanciulli per cogliere la più delicata poesia della verginità spirituale.

Ma lo Zuccoli si sarà accorto che i suoi fanciulli, sfrenatamente e tipicamente sessuali, viziosi più che virtuosi, assai spesso convenzionali più che vivi e coerenti, non erano quelli di cui abbiamo bisogno per indicarli a modello di un’arte che è privilegio di pochissimi eletti come il Petroselli.

La freccia nel fianco” dello Zuccoli, difatti, offre problemi sessuali dell’infanzia, ma non ci offre una infanzia ideale e un ideale di vita sana cui vorremmo, col Petroselli, indirizzare l’anima del fanciullo, che è forse più interessante e complessa di quella dell’adulto!

Si risolleva però, lo Zuccoli con “Le cose più grandi di lui” comparso nel 1922, e non poté darci di meglio.

Non così Filippo Petroselli, che sembrava avesse esaurite tutte le sue possibilità di scrittore per la gioventù con “Ruzzante” e “Allegro ma non troppo” per aver dato fondo a tutta la sua umanità. Egli ritorna, invece, con più calore e più fresca vena di poeta e di pittore, a interessarci con “Avventure di plenilunio”; ed è davvero un miracolo d’arte questo “avventuroso romanzo” come lo definisce il critico de “La Parola e il Libro” di Roma: miracolo d’arte autentica in cui la fantasia del Petroselli esprime un mondo lirico-fiabesco che va al di là della comune corrente e si afferma nella creazione di tipi che non si riescono a dimenticare per la simpatia che ci hanno ispirato e per l’umanità che ci hanno offerto! Sono profili che si intagliano nella nostra anima e nella nostra memoria per non uscirne mai più.

Questi sono i libri che più dovrebbero fare ingresso trionfale nelle nostre scuole; questi sono i libri che ogni educatore onesto e veramente consapevole della sua alta missione deve additare ai suoi discepoli; questi sono i libri sui quali noi – ancora una volta! –, sebbene delusi, richiamiamo l’attenzione del Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Assessorato Regionale della Scuola elementare affinché l’uso di essi venga imposto nelle nostre scuole per il prestigio della scuola stessa e per il rispetto di un’Arte schiettamente italiana, tanto più difficile a crearsi quanto più nobile essa è nelle finalità che si propone di conseguire nel mondo della gioventù odierna, e in quello dell’infanzia in modo particolare.

Domenico Costantino

  • In questo libro l’Autore – e lo dichiara francamente – non vuol darci “un esame meticoloso da critici togati” ma non vuole “vedere che uno degli atteggiamenti della coscienza letteraria italiana”; e ci è riuscito assai bene, affiancandosi, in questo sfibrante lavoro, al Galletti, al Dolci, al Tonelli, al Russo e a pochi altri maestri, istrionicamente imitati da Paolo Aposto, liti in quel libercolo raffazzonato “Il Novecento nella Critica Letteraria contemporanea. (G. B. Paravia 1941).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

«La Via» (Novelle allegoriche), Tip. Diocleziana, Roma 1910.

«Etica ed Arte nella Divina Commedia», Industrie Grafiche Urcionio, Viterbo, 1921.

«L’Ampolla della gioventù e Storielle paesane», Ed. Franco Campitelli – Foligno, 1922.

«Alla Martana» «Sole e cenere» nel!’«Antologia Scrittori» dello Studio di Propaganda Editoriale – Napoli, 1931.

«Alla Bisentina», «La bara», «Rondoni», Idem – Volume terzo – 1931

«Ruzzante»Bemporad – Firenze, 1934

«Il Sole malato», Rivista La Festa – Roma, 1934(cfr. La festa rivista settimanale illustrata della famiglia italiana)

«Il Sole malato» – Roma 1936

«Il fabbro meraviglioso» – 1937

«Sole e Cenere» – 1940

«Allegro ma non troppo (prima serie)» Milano – 1949

«Allegro ma non troppo (seconda serie)» Milano – 1953

«Avventure di plenilunio» – Milano – 1951

LIBRI NUOVI IN VETRINA – Cronaca                    (dall’ARCHIVIO FAMIGLIA)

PETROSELLI, artefice d’illusioni anche per i ragazzi scanzonati

I fanciulli d’oggi non credono più alle favole e, quindi, non leggono quelle dei fratelli Grimm, né i viaggi di Gulliver, né Pinocchio et similia. Né, ciò che è peggio, si appassioneranno da grandicelli a Salgari, Verne e Jean de Hire, per non parlare di scrittori più vicini a noi che si dedicano alla gioventù.

A fil di tale logica essi non leggeranno neppure questa svelta operetta dell’amico Filippo Petroselli (Avventure di plenilunio, ed. Gastaldi, L. 400) che ottenne il “premio Gastaldi 1950” per il libro dei ragazzi. Dovremmo trarne una triste conclusione: non vi sono più fanciulli! E perché? Perché non vi sono più nonne, quelle buone nonnine dei tempi andati che, raccontando ai nipotini le fantasiose favole sin dalla più tenera infanzia, instillavano nei giovani cervelli il gusto per la sana letteratura oggi, purtroppo dilagano e imperano i fumetti! Ed è un vero peccato … 

Queste “Avventure di plenilunio” hanno tutto per avvincere le fantasie giovanili ed educarle nel contempo. Sono stese con uno stile rapido e nervoso in una lingua chiara e avvincente anche per menti non troppo amanti della letteratura.

Mughetto e Perseolino sono due fanciulli che rimangono inavvedutamente serrati in un giardino pubblico dopo la sua chiusura serale e, con la pacatezza delle anime buone e ingenue, si addormentano strettamente abbracciati per difendersi dal freddo. Cervantes avrebbe detto che il sonno è un fuoco che toglie il freddo! Ed eccoli sognare. “Il sogno – come diceva Giuseppe Fanciulli, un altro emerito educatore della giovent, è il teatro dei poveri e di tutti. L’unico nel quale si entra senza biglietto e con la certezza di una sorpresa sebbene sia antico quanto l’uomo”.

Gite sul lago a dorso di cigno, passeggiate a cavallo di pavoni, arrampicate su scale di seta tessute con argentei fili da pelosi ragni, voli sulle groppe dei barbagianni; tutta una fantasmagoria del regno animale in cui compaiono usignoli e passerotti, tartarughe e sorci, ghiri e mici, farfalle e falene che l’autore mostra di conoscere molto bene giacché ne può descrivere le abitudini e farli, talvolta, addirittura parlare con animo gentile. V’è pure la vaga Flora, la minuscola figlia del giardiniere, che fa la sua comparsa, è un famoso festino … del formaggio (una vera trovata! lo gusterà, il festino, non il formaggio, chi leggerà il libro, sia grande o piccino.

Alla riapertura del giardino pubblico, per farla breve, i due avventurosi sognatori sono ricondotti all’ovile domestico piuttosto malconci in salute, a sanare la quale nessuna medicina si rivelerà atta se non un curiosissimo libro che si intitola “Titta, Tata e compagni, ovvero sei curiosissime storie. E non vi diremo altro da queste colonne se non che qui ricompare il narratore Petroselli con le sue ottime qualità di cui parlammo qualche settimana fa, recensendo il suo ultimo volume di novelle. Qui, egli sa divertire non soltanto i grandi, ma anche i piccini con elevato senso di pedagogia e, per uno scrittore, questo è quanto di meglio si possa dire in sua lode. Tanto più che il volume, ampiamente illustrato e con squisito gusto, si erge quale nobilissimo contributo nella lotta anti fumettistica intrapresa attualmente, da molti scrittori ed editori in Italia.

P. F.

1957


  • La narrativa di Filippo Petroselli. Saggio critico, estratto dal numero ½ gennaio / febbraio 1957 di “Pensiero ed Arte”, Bari

“…un volume del Petroselli veramente originale, che ha vinto il premio Gastaldi della Narrativa nel 1950, è “Avventure di plenilunio”.

L’Autore si sbizzarrisce con la sua estrosa fantasia dietro avventure che lo portano a vivere scene piene di humor, che egli offre ai suoi giovani lettori. Queste pagine briose e spigliate attestano indubbiamente come la sana narrativa odierna abbia trovato nel Petroselli una solida tempra di scrittore, in quanto egli si dimostra dotato di verve schietta e sincera, tale da potersi degnamente collocare accanto ai migliori umoristi del nostro tempo.

Segnaliamo: “Corteo nel lago” che si inizia con questa pennellata:

“… dinanzi all’improvviso incanto del laghetto che, in una corona di oleandri gremiti di candidi fiori, appar loro un gran bacile d’argento colmo di liquide perle, il cuore si quieta. Il profumo li inebria.

Le labbra si allentano, si ammorbidiscono, si aprono in un “oh!” di meraviglia.

Come sognanti navicelle ormeggiate in un porto, stanno presso la riva, immoti, ad occhi chiusi, i due grandi cigni bianchi e splendenti nelle vaghe ondulature delle ali e l’elegante arco del collo.

E ancora: “Una processione frettolosa” – “Carezze e danze” – “Grillus devastator” e “Il seme del giudizio” che formano il maggior pregio del volume, illustrato con disegni che ne arricchiscono degnamente le pagine.

Gino Spinelli de’ Santelena

1967


  • Filippo Petroselli, scrittore e pensatore, Fratelli Palombi editori, Roma 1967 

AVVENTURE DI PLENILUNIO

L’editore Gastaldi di Milano, conferendogli il Premio per il libro dei ragazzi, 1950, e pubblicando il lavoro di Filippo Petroselli “Avventure di plenilunio”, arricchì la letteratura italiana per i fanciulli di un autentico gioiello, che può reggere il confronto con le migliori produzioni di autori italiani e stranieri in questo specifico campo.

“Avventure di plenilunio” è una meravigliosa fiaba, agganciata a sei racconti fantastici, che seguono e la completano, sei “curiosissime storie” (come l’autore le definisce), raggruppate sotto il titolo “Titta, Tata e Ci.”, inverosimili racconti che si reggono sul filo del grottesco, e, caricaturando certi tipi paesani e la ingenuità (per non dir peggio) della buona gente del contado, non mancano di avere, anch’essi, un loro intendimento moralizzatore, che chiaramente traspare dalle linee delle narrazioni; ma non è tedioso; anzi diverte per la vivacità e per il buon umore profuso a piene mani. Emerge, come sempre, dai racconti l’umorista geniale, dalla fervida inventiva e dalla sprizzante giocondità, che non si ripete mai, che è ognora nuovo, inesauribile, personale nel suo stile, che si fa leggere dai fanciulli e dai grandi con uguale gioia ed interesse.

La parte fiabesca del libro, la straordinaria avventura di due fanciulli che son restati prigionieri in un giardino pubblico in una notte di plenilunio, dopo che i pesanti cancelli dell’ingresso sono stati chiusi e le loro invocazioni di aiuto inascoltate, ha un finissimo tessuto di poesia e d’irreale. Vinti dalla stanchezza i due ragazzi impauriti si addormentano sul prato e sognano. Sognano di cavalcare i bianchi i cigni dello stagno, generosamente offertisi per calmare le loro ansie e per farli allontanare dall’incubo di un grosso ragno nero, dagli occhi fosforescenti, che li minaccia. Sulle candide cavalcature essi traversano da una sponda all’altra le acque argentee del laghetto, seguiti da un corteo di pesciolini festanti. Però gli altri abitatori dello specchio lacustre non si uniscono al corteo ed osservano in disparte, mormorando per il chiasso insolito. Sono i più anziani della fauna ittica, che ricordano di essere stati vittime, in altre occasioni, degli scherzi non lodevoli dei piccoli umani, e le timide rane. Il ragno, nascosto nell’ombra, attende che i cigni stanchi facciano ritorno a riva per sbarcare i ragazzi. Essi, però, trovano ancora aiuto nel provvidenziale intervento di una coppia di barbagianni, dagli occhi luminosi, che li trasportano a volo sulla cima di una torre e a far visita al loro nido di affamati barbagianni. E dopo, ancora intervengono in loro aiuto i pavoni dalle roteanti code multicolori. Tutto il giardino ferve di vita nella notte insonne: i passeri, svegliati, schiamazzano; gorgheggiano gli usignoli; parlano gli alberi; corrono i sorcetti alla festa del formaggio, alla quale presiede uno strano gatto “Occhi di luna”, amicissimo dei sorcetti. La narrazione procede rapida, spigliata, nell’incantato alone della fantasia e del cuore, un caleidoscopio fatato dal quale non si vorrebbe mai staccare l’occhio, una suadente musica di parole scritta sul pentagramma del sogno.

Flora, la vaga figlia del giardiniere, che appare simile ad una fata, con una rosa azzurra sul petto, e che, dopo aver parlato ai fanciulli, svanisce nel blando chiarore d’un raggio di luna; i voli inebrianti che miriadi di farfalle intessono intorno ai due bimbi, danzando liete al solito motivo che “l’alito mite del vento compone coi fili d’erba, i petali dei fiori, le nuove tremule foglioline ed i fili lucenti della luna”, ed, infine, il ragno nero, miracolosamente trasformatosi in ragno benefico, “tutto grazia, argento e luce” che tesse una sottile scala di fili di seta, per permettere l’evasione dei due ragazzi dal giardino.

Tutto ciò che io ho esposto in riassunto costituisce la trama della sognante fiaba; ma, quando si è giunti al risveglio, che coincide con quello dei giovanissimi protagonisti, ritrovati dalle loro mamme su uno spiazzo del giardino abbracciati ed addormentati, ci si sente come loro, ritornati al freddo della realtà, desiderosi di rivivere ancora quel sogno. E se nei cuori dei più piccini, facili a dimenticare ed a riaprire le labbra di nuovo al sorriso, quel desiderio non sarà assillante per molto, nei cuori degli adulti, che avranno letto queste “Avventure di plenilunio”, forse scritte per loro come per i ragazzi, resterà per sempre e riaffiorerà spesso il ricordo di quelle pagine, una nostalgia di ritornare alla perduta ingenuità fanciullesca, e sono certo che molti le rileggeranno in segreto per poter ancora sognare.

Renato Benedetto