Quanto è stato scritto sull’opera letteraria di Filippo Petroselli a cura di Alessandro Vismara.
“Dopo aver curato personalmente con amore e passione l’OPERA OMNIA dello scrittore Filippo Petroselli, in tre volumi in ottavo di complessive pagine 1340, è con vivo piacere che presento questo volume. È nato nel lontano 1910 quando il grande letterato Guido Mazzoni con brevi parole che sanno di profezia: «Vi è genio e fantasia» giudicò il primo lavoro letterario di Filippo Petroselli, allora studente. Mi auguro che questa raccolta di giudizi sia gradita ad ogni lettore e soprattutto a chi ama approfondire lo studio sulle opere di questo illustre Autore”.
Alessandro Vismara
1934
- AGENZIA LETTERARIA ARTISTICA, Roma (agosto 1934) – RICERCA IN CORSO
Volume originalissimo, di avventure comiche e satiriche…
- LA RONDINE, giornale politico, amministrativo, letterario, quotidiano (ottobre 1934)
È questo il nome d’un asino, ed è il titolo del libro che Filippo Petroselli ha scritto, per narrarci le vicende del non mansueto animale, dalla nascita in poi.
Sì, un asino simpatico, bizzarro, audace, tutto fuoco, uno di quegli asini – c’è n’è più che non si creda – entrati nella vita con aspirazioni, diciamo, da cavallo, magari da corsiero, e che la vita rimette crudelmente a posto, non sempre forse con assoluta giustizia.
Chi volesse, per amore di barzellette, fare un po’ di falso umorismo superficiale, direbbe curioso il caso di un valente psichiatra, quale è il Petroselli, che – abituato a studiare la psicologia degli esseri umani – si dedica a un lungo studio intorno alle manifestazioni vitali di una bestia; ma l’osservazione non attaccherebbe: l’umorismo quello vero, lo fa proprio il Petroselli, e, quello vero se egli si diverte nel farlo e diverte noi che lo seguiamo attraverso le sue gustose pagine, non vuol dire che da tali pagine siano assenti pensiero e psicologia.
A noi piace la foga di Ruzzante, animale dalle vene ricche di caldo sangue; e ci piace la paura dei suoi padroni per la imperversante vivacità della bestia: troppo sangue; e ogni tanto gliene cavano un poco; e ogni volta, dopo il salasso, pare che il tumultuoso quadrupede si acqueti, ma ogni volta le bizzarrie e le indiscipline presto si riproducono.
Povera pazienza messa a tante dure prove: bisogna bene che le agitazioni e i danni abbiano termine; poiché i salassi alternati non giovano, gliene faranno fare uno definitivo: l’asino sarà – nientemeno – venduto al proprietario d’un Circo, per esser dato in pasto ai leoni.
Macché! Il magro somarello lascia tutti con un palmo di naso, e fugge via anche stavolta, senza che alcuno riesca a trattenerlo, fugge verso la sua stalla, verso il suo prato, verso l’umiltà del suo lavoro: forse le furie gli sono passate, lo ha già un po’ domato il tempo, lo ha domato e finirà di domarlo la vita. Ormai il basto e il carretto faranno la continuità della sua sorte, senza più scappatelle: l’unico sfogo che gli può rimanere sarà quello di mandare all’aria, spalancando fuor di misura la bocca, i suoi ragli: di festa? di noia? di rimpianto? di malumore? Chissà!
Attorno a Ruzzante (1) l’autore ha posto e vivificato un mondo di persone e di cose, con instancabile brio, con acuta forza di osservazione, con evidenza sottile di rappresentazione, con verità smagliante di colori ed efficacia di stile; raramente il critico potrebbe notare qualche soverchia insistenza descrittiva e qualche ricercatezza di linguaggio, ma il libro si legge con raro diletto, che chiama alle labbra, sovente, con l’aperta risata della soddisfazione estetica, anche il sorriso pensoso d’una soddisfazione più intima, più umanamente comprensiva. Arte.
Ettore Strinati
- IL PONTE – La rassegna letteraria (1934)
Rivista trimestrale di arte scienza critica e letteratura varia – Palmi Calabra
Dir. Vittorio e Mariano Parisi
Il titolo di questo libro non ha nulla in comune con Angelo Beolco detto Ruzzante, celebre commediografo della Rinascenza. Questo Ruzzante è una bestia, della famiglia dei somari umili e pazienti: un asino destinato a rivendicare i meriti della sua schiatta su cui da secoli grava una triste fama …
“Se νe venne al mondo tra gli incensi del fresco concio delle due vacche che ristettero dal va e vieni della tritante mandibola, per volgersi a quella novità e muggirono di gioia facendo tremar, su nei travi neri, le polverose ragnatele”. “… occhi troppo ardenti per un asino e che per giunta s’accendevano spesso di lampi fosforescenti come quelli dei gatti nella notte, una macchia bianca sopra uno zoccolo e un codino corto senza ombra di pelo …”.
Il responso dei compari: Checco del Picchietto, Beppe delle Petrelle e Giacinto dell’Acquabianca, dal soccio Gianmeco chiamati a dar il loro giudizio e ad esprimere il saggio oroscopo sul neonato, non fu per nulla allegro …: “Codino spelato, somaro sgraziato!” – “Balzano da uno, somaro di nessuno” – Somaro marzolino, vale meno di un quattrino!” Gianmeco era sconfortato …
Ma Ruzzante era nato per smentire tutta l’umanità, compresi i tre savii compari, cattivi profeti della sua missione nella vita … dopo una tranquilla adolescenza Ruzzante manifesta le sue spiccatissime doti per l’avventura. Ed eccolo, il simpatico orecchiuto, tra la gente della terra Cimina, protagonista delle più mirabolanti gesta: la stupefacente vicenda del Duomo, la tragicommedia del Mercato, la scena del somaro tra i leoni, ed altre amenità e ribalderie che si svolgono tra la più irresistibile ilarità, nonché fra l’ammirazione del pubblico per l’intraprendente ed intelligente quadrupede.
Filippo Petroselli, autore di altre notevoli pubblicazioni, ha rivelato in questo libro doti originali di narratore ricco di fantasia, di verve, di colore. Scritto in forma spigliata, il libro è pieno di buon umore e si legge d’un fiato, con diletto e con interesse. E può benissimo stare accanto ai migliori classici del ridere.
Vittorio Parisi
- CORRIERE EMILIANO (Gazzetta di Parma), 29 aprile 1934, Anno XII, p. 3 (vedi ed. digitale) (cfr. in CORRIERE EMILIANO, 22 giugno 1934)
“Sta per uscire un nuovo libro di Filippo Petroselli autore dell’“Ampolla della gioventù”, delle “Storielle paesane” e del “Sole malato” (Bemporad, Firenze, L. 10).
Nel “Ruzzante” lo scrittore, risalendo con moderno spirito alla nobile e schietta tradizione dei nostri classici novellieri, è felicemente riuscito a fissare in una forma definitiva e spigliata le sue doti native di narratore assolutamente originale.
Quest’organico libro, d’indiscutibile originalità e freschezza, farà senza dubbio la gioia dei ragazzi ed il buon umore dei cosiddetti grandi.
Letto, verrà voglia di rileggerlo. E nessuno potrà più scordarsi l’indiavolato e simpaticissimo orecchiuto con quella sua misteriosa facoltà, la grave faccenda del Duomo, la tragicommedia del mercato, la fanfara della libertà, quei figuri dei “trascinieri”, l’ottimo vecchio cav. Chioppi e più le sue benevole e pungenti arguzie, quella birba di Gianmeco, nonché la dolcezza dei paesaggi cimini, la mortadella di Bologna, la povera Tuta, l’eroicissimo domatore, la Corte d’Assise senza imputato, i vecchi leoni e i giovani Rita e Laurino e ben altro ancora …
Armando Zamboni
- La festa rivista settimanale illustrata della famiglia italiana (giugno 1934) – RICERCA IN CORSO
“È certo che Ruzzante come i suoi antecessori a quattro gambe, creati dagli antichi Favolisti, può darci, senza parere, anzi esilarandoci, dei finissimi insegnamenti morali”.
Luigi Allievi
Vai al catalogo: https://sol.unibo.it/SebinaOpac/.do?idopac=UBO0717386
- IL POPOLO DI BRESCIA. Quotidiano della Federazione provinciale fascista (1923-1943), (giugno 1934) – RICERCA IN CORSO
“Questo scrittore s’è messo sulla buona strada del romanzo tradizionale da scriversi con mezzi tradizionali. Osservatore specie dell’anima umana, ha saputo tirar fuori dalle vicende ‘di un ciuco caratteri che si stagliano e si rammentano. Storia divertente, scritta in buona prosa con belle e fresche immagini …”.
A. Santelli
- Avvenire d’Italia, (14 giugno 1934)
“Ruzzante” o dell’umorismo
Si possono e si debbono scrivere ancora lavori come questo di Filippo Petroselli; Ruzzante; libri semplici, chiari, senza complicazioni psicologiche e sentimentali, ispirati ad un sano umorismo, libri che si leggono d’un fiato e con molto diletto da grandi e da piccini.
La trama di favola, l’allegra storia di un asino, le direbbe particolarmente indicate per ragazzi; ma io non credo alla distinzione esteriore della letteratura per grandi e per fanciulli. L’anima umana è in fondo, ad ogni età, sempre la stessa. Vi sono autentici capolavori, come “Le mie prigioni” di Silvio Pellico che commuovono i ragazzi in maniera straordinaria. Si rammenti l’episodio del Mutolino.
Ruzzante ci procura qualche ora di schietta allegria: e si può proclamare senza ambagi che sono in certa misura anche questi artisti, che, come il Nostro, riescono a distendere i nervi, ad incrementare quella formidabile fonte di energia che è il sorriso.
Il racconto è straordinariamente semplice. Si tratta della vita di un caro ed intelligente asinello delle campagne del Viterbese. Campagne soffuse di poesia e di dolcezza. Intorno, la chiostra magnifica dei Cimini, difesa della gente Romana, Petroselli descrive con somma efficacia i costumi dei mezzadri, la bellezza dei luoghi, proprio come altri ben noti scrittori per la Toscana. Campagna avvivata da casolari e da coltivazioni oggi sempre più intensive, unite a Roma da rapidi e comodi mezzi comunicazione. La gente di paese è quadrata, discretamente furba, dotata di molto buon senso. Petroselli ci dà al riguardo quadretti indovinatissimi, come quello di Annantonia, la Perpetua del Sor Biagio.
I due protagonisti sono l’asino e il Cavalier Chioppi, un medio proprietario, come ve ne sono tanti in quella regione. Fu a suo tempo in Seminario, donde ha estratto lo schietto sentimento religioso che lo distingue e una certa attitudine umanistica a sentenziare.
Il suo compagno inseparabile è il mezzadro Gianmeco. Bella consuetudine tratta dall’antico contratto di colonia, onore delle campagne di Viterbo. Vi sono famiglie che stanno da più di cento anni nello stesso podere con lo stesso padrone. Di qui i rapporti quasi fraterni, amichevoli che corrono tra datori di lavoro, annullando di fatto sul nascere la lotta di classe.
L’impresa del Cav. Chioppi “il Sor Biagio” e di Gianmeco ha uno spunto eroicomico: muoversi un po’, visitare i paeselli che fanno corona a Viterbo (la febbre del moto così caratteristica del mondo di oggi, si comunica in qualche misura anche a questa brava gente di provincia). Il giro sarà compiuto sul grosso vecchio “bagaro” compiuto (?) da Ruzzante. Vi è forse nel buon senso del servo e nella sentenziosità del padrone una reminiscenza della coppia Don Chisciotte – Sancio.
Piace la filosofia bonaria del Sor Biagio.
Ecco S. Martino, civettuolo alle falde del Cimino, un bambinone sdraiato al sole, come lo chiama un po’ rettoricamente l’Autore. V’è la fiera. I porcellini, beati, grugniscono in tutti i toni. Annota il Sor Biagio: “Purtroppo molti uomini somigliano ai porci in brago; tutta pancia, poco cervello e poco cuore”. Aurelio Agostino era pressoché di eguale parere nelle sue Confessioni. Gli uomini scambiano il brago con il cinnamono e l’unguento prezioso. Il problema del Male sta tutto qui: un errore di estimativa.
Ruzzante, detto così per la sua vivacità, (Gianmeco lo voleva chiamare Ruzzoso: il padrone ha dato al nome un timbro di maggior risonanza cavalleresca), indovina i pensieri del Sor Biagio a perfezione. Se egli ha qualche animosità verso qualcuno, ecco Ruzzante gli salta addosso. Ora sono talune “signorinette” tutte imbellettate che provocano il giusto risentimento del Sor Biagio. Ruzzante risponde alle loro risate di scherno scompigliandole e mettendole in fuga. Lo stesso si dica per la graziosa scena della Cattedrale.
Vi sono al mondo bestie troppo intelligenti. Ruzzante è di questa famiglia.
Il suo raglio è il primo saluto all’Universo. Bestia piccolina tutto pepe e vivacità. Sente la gioia dell’Universo ed il raglio è l’ultimo saluto al padrone quando lo rivede, dopo tanti gustosissimi episodi, in occasione del pranzo nuziale di Laurino ed Ornella, la figlia di Gianmeco; libero in un campo verde – smeraldo incorniciato di biancospino in fiore; chiara atmosfera di sogno.
Pericoloso, però, è in definitiva che gli asini facciano da uomini, asini come Ruzzante, balzano da uno, occhi fosforescenti, codino corto, quasi nudo. Le bestie debbono rimanere bestie e gli uomini uomini. Il che troppo spesso dimenticano. Donde strana inversione di valori ed il conseguente umorismo, che è il mondo veduto alla rovescia; uomini che s’imbestiano e bestie che fanno da maestri agli uomini.
Questi gli spunti filosofici che si concludono con il garbato, quanto imprevisto elogio della modernità, quando il Cav. Chioppi, stanco del “bagaro” e di Ruzzante, sale in una automobile da piazza e si fa condurre sfinito a casa.
Ma, oltre il simbolo, Ruzzante è bello per sé. Lo stile ha movenze di schietta modernità. I canti dei contadini a sera, certi effetti di luce e di sole, il tramonto sulle mura della turrita Viterbo, la piazza della Cattedrale che tutto un ricamo con il Palazzo dei Papi e la Loggia lieve aerea, la fosca Vitorchiano circondata da fossati, che ci richiamano le grandi pitture del Doré, tutto ciò fa sì che il Nostro possa essere considerato un artista di primo ordine.
Il Petroselli, che è un bravo psichiatra, dedica non da oggi, le sue ore di libertà all’Arte. Nei suoi libri si rivela sempre moralista garbato, non ingombrante. Schietta è l’ispirazione cristiana. Esordì a vent’anni con un volume di novelle lodate dal Mazzoni. Ha fatto la campagna libica e la guerra italo-austriaca con molto onore, guadagnando ricompense e croci di guerra. È un poeta di bello slancio come è documentato dai suoi Inni: Alla Martana ed Alla Bisentina, gemme del Lago di Bolsena. Di Lui ricordiamo anche “L’Ampolla della Gioventù” e “Storielle Paesane”, assai briose.
Novelliere, rievoca scene di guerra come nel “Lago d’Ampola”, dove le stelle tengono pietosa compagnia ai morti gloriosi. La bella Rivista “La Festa” sta pubblicando del Petroselli un romanzo originalissimo e divertente: Il Sole Malato.
A tutta questa ricca produzione di aggiunge oggi Ruzzante, indiavolato, amenissimo: libro che non si riassume, ma si deve leggere, trama che potrebbe essere tradotta in una festevole cinematografia a colori.
Auguriamo al volume lo schietto successo di cui è degno. L’Autore, traendo ispirazione dai grandi favolisti, da Esopo e Fedro, ha saputo davvero unire insieme l’utile al dilettevole e riprendere, sorridendo, i costumi.
Francesco Aquilanti
- La donna italiana (luglio 1934) – RICERCA IN CORSO
Rivista mensile di lettere, scienze, arti e movimento sociale femminile, fondata nel 1924 e diretta da Maria Magri Zopegni.
Libro allegro, divertente, scritto italianamente: un italiano, che pur avendo le radici nella nostra miglior tradizione, germoglia e s’infronda di nuovi polloni gagliardi, lucidi e freschi. Un vero piacere.
Giulietta Martini
- GRAN MONDO SETTIMANALE, ILLUSTRATO, MONDANO, ARTISTICO, LETTERARIO, ROMA (luglio 1934) – RICERCA IN CORSO
“Non è né romanzo, né fiaba, né racconto, è qualcosa di nuovo, risultato da una sapiente fusione di elementi diversi. È un libro soprattutto divertente nel sano senso della parola. Petroselli si libera dal consueto repertorio, sfiora come per scherzo problemi dell’anima e del pensiero umano ed attraverso una spigliata, viva, efficacissima narrazione fustiga manchevolezze morali …”.
Amalia Caterina Baccelli
- IL MESSAGGERO, LIBRI E LETTURE (5 luglio 1934)
Scrivere la storia di un uomo è – o dovrebbe essere, data la farragine straordinaria di romanzi che si pubblicano ai giorni nostri – una cosa abbastanza difficile, anche perché non è possibile conoscere veramente a fondo il proprio simile e inventare cose … veramente vere. Ma scrivere la storia di un asino dovrebbe essere se non proprio impossibile, almeno molto più difficile. Un uomo può aiutarci un asino, no, o ben poco. Eppure Filippo petroselli con questo suo ultimo libro (“Ruzzante”, Bemporad, Firenze – lire 10), è riuscito a scrivere la storia di un asino con festosità di spirito e di stile, con vivacità di trovate e di episodi.
È un libro che si legge con piacere perché, attorno alla vita mortale di questo somaro viterbese, l’autore ha saputo intessere una sequela vivacissima di avventure strane e ridanciane che tengon desta l’attenzione del lettore e ha creato due tipi interessantissimi della provincia: il contadino Gianmeco e il suo “soccio” il Cav. Sor Biagio Chioppi che sono i compagni di viaggio del somaro. Niente sfondo fiabesco, niente animali che parlano, ma un semplice somaro, se volete indiavolato e irrequieto, ma un semplice somaro. Quindi l’abilità del romanziere è stata ancor maggiore perché nessun elemento di fantasia fiabesca lo ha soccorso.
Libro, dunque, sano e allegro, leggermente moraleggiante, senza parere, e scritto con facilità di penna, con correttezza di lingua e con efficacia di stile.
- IL MARE. POLITICO, AMMINISTRATIVO, LETTERARIO (28 giugno 1934)
Del dott. Prof. Filippo Petroselli, docente di psichiatria nella Università di Roma, conoscevamo l’acuta profondità di indagine, la dottrina attestante la larga coltura scientifica: oggi abbiamo – attraverso il recentissimo volume dal titolo: Ruzzante, edito pei tipi Bemporad – fatto la conoscenza di uno scrittore, che respinge la facile letteratura da salotto, di un uomo di lettere che, ispirato dalla fede cristiana, si rivolge al pubblico migliore, ai giovani che portano nel cuore una scintilla che scalda e una parola che canta, loro insegnando la dignità della vita e dimostrando come Arte – quando sia degna e pura ed alta, quando miri a temprare il carattere e ad elevare lo spirito – possa di un frastuono fare un’armonia.
L’apologo ebbe già fortuna nella nostra letteratura e le storie di animali furono ripetutamente narrate da scrittori di bel nome.
Certo il Petroselli, raccontandoci oggi la storia di Ruzzante – un povero asinello di campagna – le sue vicende, il servizio quotidiano, deve aver pensato indubbiamente a qualche scrittore del passato.
In quella sua prosa semplice, chiara, lineare, il Petroselli sa dire molte cose, ripeterei molte verità.
L’uomo di scienza, divenuto uomo di lettere, è contro il modernismo, contro il novecentismo, contro tutte quelle manipolazioni, che dell’arte fanno un artifizio.
Noi, per conto nostro gli battiamo le mani di vivo cuore. AVI
- IL POPOLO DI TRAPANI. Settimanale della Federazione Fasci di combattimento. (luglio 1934) – RICERCA IN CORSO
“Allegro libro ove risaltano le distinte qualità del narratore e dell’osservatore dotato di una punta di ironia lieve ed insieme densa d’ammaestramento e dove le figure e le situazioni sono abbozzate e svolte con molta spontaneità ed evidenza. Lo stile è duttile e pregevole …”
E.G.
- REGIME FASCISTA. Il giornale di Roberto Farinacci (luglio 1934) – RICERCA IN CORSO
“Questo valente narratore ha scritto un libro pieno di vita e di movimento. Petroselli sa tenere molto bene la penna in mano e in quel suo cervello infocato sa trovare parole, espressioni, frasi e modi di dire che ne caratterizzano l’originalità e lo allontanano sempre più dalla comune schiera degli scrittori. E quando uno scrittore scrive per il piacere di scrivere e per il bisogno spirituale di far cosa bella, ne esce sempre veramente una cosa bella. E Ruzzante è un libro, meglio un vero poema piacevole, vivacissimo, spigliato, brioso, festevole e di originale umorismo. Umorismo vero, delle nostre regioni italiche: e veramente un bello scrivere …”.
Origine: https://www.biblioteche.regione.lombardia.it/opac2/LO1/result
- TEMPO NOSTRO, Adria (luglio 1934) – RICERCA IN CORSO
“Divertentissimo. I giovani lo leggeranno con trasporto facendo allegre risate, i vecchi con godimento dello spirito …”.
- IL PICCOLO, Roma (Agosto 1934)
(vedi anche in Il Giornale d’Italia)
Vicende incastonate in una maniera artistica che sa trarre il suo valore da una molteplice pregevolezza: rapidità nella costruzione dei caratteri, squisita arguzia, lingua agile e viva, motivi descrittivi (trattenuti entro margini di una cosciente economia) ricchi di spontaneità, di poesia, di sapori orginali. Tutto ciò dà al libro un pregio superiore. Petroselli è un uomo di molta sensibilità e stilista stupendo. Nelle narrazioni vi sono pagine assolutamente magistrali e nate da temi di non facile ispirazione.
Ercole Rivalta
- ITALIA CHE SCRIVE – RASSEGNA CRITICO BIBLIOGRAFICA PER L’ITALIA CHE LEGGE, Anno XVII – Roma (agosto 1934)
Direttori: A. F. Formiggini e Giuseppe Zucca
Filippo Petroselli. Ruzzante. Romanzo, Firenze, Bemporad, 1934 in 16°, p. 280 L. 10
Anzitutto è da sapere che “Ruzzante” non ha niente a che vedere col famoso commediografo patavino del Cinquecento. Ruzzante è invece … un bello e terribile somaro in carne e ossa, che è venuto al mondo con la camicia – come si dice – che ne combina di tutte le qualità per la delizia e la croce de’ suoi legittimi padroni e del pubblico paesano. Asino, dunque, intelligente, pieno di sangue troppo caldo e troppo carico; asino che ha delle virtù innate e che, col suo agire incomposto, ci insegna invece tante cose fornite di una filosofia spicciola e pur così veritiera.
Inutile seguire le vicende comiche di questo quadrupede che sembra commetterne una per progettarne subito un’altra: tanto che i suoi stessi padroni, il sor Biagio e il contadino Gianmeco, si sono fissi in testa che egli indovini i loro pensieri e si comporti in conformità. Questa specie di osmosi psichica – chiamiamola così – diventa il tormento, lo spauracchio, l’ossessione dei due buoni villici i quali sono trascinati di avventura in avventura quasi senza reagire, per fatalità.
Sta qui io credo il nucleo più certo e compiuto dello spirito che informa il romanzo il quale, altrimenti, apparirebbe soltanto una comunissima narrazione di episodi … asineschi più o meno burlevoli. E lo spirito dell’A. si diffonde con agilità in tutte le pagine. Alla fine, bisogna convenire che Ruzzante ha dei numeri, che è un asino “comme il faut” e che soddisfa i nostri desideri erigendosi all’altezza del dominatore e del giustiziere. Satira, dunque, fine e piena di brio è in questo libro che, d’altra parte, è scritto con una “verve” e una chiarezza che attraggono ininterrottamente. Quando poi il Petroselli può dedicarsi anche per poco a un brano descrittivo, bisogna dargli campo vinto senza discussioni. In certe pagine mi pare di intravvedere un Tombari più quieto, più raccolto, più naturale, insomma. Anche le figure o, meglio, le macchiette dei protagonisti sono delineate sobriamente e balzano fuori con caratteristiche psicologiche che interessano. “Ruzzante” è un libro ridevole e pur pensato, che richiama doverosamente il vecchio adagio della commedia: “castigat, ridendo mores”.
Armando Zamboni
- NEUE ZURCHER ZELTUNG – Archiv, Quotidiano svizzero dal 1780 (agosto 1934)
“Petroselli con il suo «Ruzzante» si è assicurato una notevole posizione nella letteratura. Egli ha unito l’umorismo al realismo, proveniente dal Verga, che finisce come a tutti è noto nel tragico ed ha creato un idillio campestre che è nello stesso satirico. L’arte dei racconti umoristici in Italia non può richiamarsi a nessuna tradizione. Il Petroselli poi nella sua opera non si è appoggiato in nessun modo a tipi stranieri. L’originalità ed il livello del suo libro debbono essere quindi esclusivamente ascritti a favore dell’autore”. Hode – Presidente dell’Ass. lnternazionale della Stampa.
Origine: https://zeitungsarchiv.nzz.ch/archive
- L’Italianissima. Rivista mensile di vita nazionale (agosto 1934) – RICERCA IN CORSO
Ruzzante: libro umoristico alla latina, originale e palpitante, che rimane indimenticabile come le ore liete . . . libro che ha colore, equilibrio, fluidità di linguaggio, sottile senso d’ironia e delicato filo filosofico …
- Francesco Giovinazzo, Ruzzante in LUCE INTELLETTUALE, Rivista mensile letteraria Fondata da Rosario Licari, Palermo (agosto 1934) – RICERCA IN CORSO
“L’Autore ha l’arte di dar vita alle creature della sua fantasia, sa farle agire, vivere, sa dar loro una fisionomia, una caratteristica. Dal reale si passa al fantastico (che, in fondo, è trasfigurazione poetica della vita), dal semplice al complesso, dal chiaro al recondito. Si pensa a Don Chisciotte e a Sancio Pancia, ma evidentemente non è il caso di parlare di imitazione …”.
- RADIOCORRIERE. SETTIMANALE DELL’EIAR Ente italiano audizioni radiofoniche (7 agosto 1934)
Ruzzante è il titolo del nuovo ed amenissimo libro di Filippo Petroselli, l’originale autore dell’Ampolla della Gioventù, del Sole Malato e di Novelle Paesane. Nel Ruzzante, edito da Bemporad, lo scrittore, risalendo con moderno spirito alla nobile e schietta tradizione dei nostri classici novellieri, è felicemente riuscito a fissare in una forma definitiva e spigliata le sue doti di narratore assolutamente personale.
Quest’organico libro d’indiscutibile originalità e freschezza farà senza dubbio la gioia dei ragazzi ed il buon umore dei cosiddetti grandi.
- LA VEDETTA ARTISTICA, quindicinale letterario teatrale, Catania (agosto 1934) – RICERCA IN CORSO
… una satira che non assume mai la tinta livida dello sdegno, ma serba il rosso della burla e dell’arguzia. Petroselli è un grande artista per conoscenza del cuore umano, per immediata intuizione dei vari moti della nostra anima. Ruzzante è un capolavoro per padronanza di vocabolario …
Giovanni Agnello Ramata
- QUADERNI DI POESIA Rivista letteraria, mensile a cura di Mario Gastaldi (agosto – settembre 1934
Filippo Petroselli è un nome noto e caro a quel pubblico scelto che ama ancora le buone letture. Ha scritto parecchi romanzi, tutti accolti favorevolmente anche dalla critica militante: ora sta pubblicando ne “La Festa” di Bologna “Il sole malato”, ha pronto per le stampe “Nel paese di Don Gebboso” e ci dona fresco fresco questo Ruzzante in una nitida edizione Bemporad di Firenze (1934 in 16°, pp. 286. L. 10). Non credo di esagerare affermando che le doti migliori di narratore del Petroselli sono qui concentrate e dispiegate. Anzitutto, è da sapere che Ruzzante non ha nulla a che vedere col famoso commediografo patavino del Cinquecento. Ruzzante è invece … un bello e terribile somaro in carne e ossa, che è venuto al mondo con la camicia, come si dice, e ne combina di tutte le qualità per la delizia e la croce de’ suoi legittimi padroni e del pubblico paesano. Asino, dunque, intelligente, pieno di sangue troppo carico e troppo caldo; asino che delle virtù innate e, col suo agire incomposto, ci insegna invece tante cose fornite di una filosofia spicciola e pure così veritiera. Inutile seguire le vicende comiche di questo quadrupede che sembra commetterne una per progettarne subito un’altra; tanto che gli stessi suoi padroni, il sor Biagio e il contadino Gianmeco, si sono fissi in testa che egli indovini i loro pensieri e si regoli in conformità. Questa specie di osmosi psichica – chiamiamola così – diventa il tormento, lo spauracchio, l’ossessione dei due buoni villici, i quali sono trascinati di avventura in avventura quasi senza poter reagire, come per fatalità. Sto qui, io credo, il nucleo più certo e compiuto dello spirito che informa il romanzo il quale, altrimenti, apparirebbe soltanto una comunissima narrazione di episodi … asineschi più o meno burlevoli. E lo spirito originalissimo dell’autore si diffonde con agilità in tutte le pagine, sia che Ruzzante insegua e disperda alcune ragazzette moderne, che si pitturano gli occhi e la faccia, sia che irrompa in chiesa in giorno festivo conciando a suo modo un riverito canonico, sia che faccia scappare col solo suo sguardo di fuoco tutta una folla accorsa per ammirare in lui la creatura del diavolo, sia che mandi a monte la cerimonia dell’inaugurazione d’un monumento ruinando sulla malinconica e retorica oratrice e strappando il pizzo della barba alla statua, sia che metta in serio pericolo un formidabile domatore di leoni tra l’ilarità e gli applausi di tutta una piazza.
Alla fine, bisogna convenire che Ruzzante ha dei numeri, che è un asino comme il faut e che soddisfa i nostri desideri erigendosi all’altezza del dominatore e del giustiziere.
Satira dunque finissima e piena di brio è in questo libro che possono leggere con profitto tutti, grandi e piccini. D’altra parte, è scritto con una verve, una chiarezza, una semplicità che attraggono ininterrottamente fin dal principio. Quando poi il Petroselli può dedicarsi anche per poco a un brano descrittivo, bisogna dargli campo vinto senza la minima discussione. In certe pagine ci pare di intravvedere un Tombari più quieto, più raccolto, più naturale, insomma. E il lettore di buon gusto può constatare che non ci troviamo davanti al solito “pezzo di bravura” che molti stilistici narratori ci danno con sforzo. Nelle descrizioni brevi del Petroselli c’è sempre stemperato un colore proprio, c’è accolta una osservazione diretta sulla realtà, c’è, in una parola, il senso del bello e del luminoso. Anche le figure o, meglio, le macchiette dei protagonisti sono delineate sobriamente, senza la più piccola forzatura, e balzano fuori con certe caratteristiche psicologiche che ci interessano e le rendono inconfondibili. In complesso, dunque, Ruzzante è un libro pensato eppur ridevole che ci fa trascorrere qualche buona ora e richiama dignitosamente il vecchio adagio “castigat ridendo mores”. E noi facciamogli la migliore accoglienza e mettiamolo senz’altro tra i pochi veri lavori di umorismo italiano (dico italiano) usciti in questi ultimi anni.
Armando Zamboni
- L’APPELLO, PALERMO (settembre 1934) – RICERCA IN CORSO
“Petroselli per la sua originale, copiosa e spontanea vena di narratore occupa tra gli odierni scrittori un posto di primo piano; il suo Ruzzante sarà certamente gustato ed apprezzato anche dai posteri per la sua bellezza artistica e per il suo contenuto profondamente umano e universale …”
Giovanni Ludovisi
- L’ITALIA GIOVANE, Organo della Federazione provinciale novarese del PNF (settembre 1934) – RICERCA IN CORSO
Petroselli: … gusto arguzia ed abilità di grande Artista. Schietto e sano umorismo in una schietta, aurea scrittura. Un poeta ingordo soltanto di bontà e di luce! Umorismo schietto, all’italiana e filosofia sottile, piacevolissima. Soprattutto stile fresco, agile, nutrito di buoni studi ed ottima cultura …
Pina Ballario
- CORRIERE ADRIATICO – ANCONA (ottobre 1934) – RICERCA IN CORSO
… spontanea è la vivacità e la naturalezza con cui i fatti si concatenano e si svolgono …
- LA TRIBUNA, ROMA (ottobre 1934) – RICERCA IN CORSO
… originalità che desta l’interesse dalla prima pagina all’ultima in questo libro divertentissimo…
- LE JOURNAL DE BERNAY (ottobre 1934)
Ruzzante: Un ouvrage profondèment original. Les personnages qu’il présente, on les coudoie tous les jours dans la foule, tant ils sont naturels, agissants, vivants. On voit !es paysages, tant les descriptions sont précises, tant les détails sont magnifiquement éclairés.
Il y a des scénes campagnardes, des fêtes villageoises des fourmillements de foule auxquels on assiste réellement. Que dire des pages où son développées les longues suites des aventures fantastiques du « farceur » ? Les événements s’enchainent et deviennent si bien conséquences naturelles s’en apercevoir, entièrement séduit par un style fluide, simple, clair et précis.
N’est-ce pas le meilleur éloge qu’on puisse faire d’un ouvrage dont on se souvient longtemps?
Fernand Brisset
- LA NOUVELLE REVUE CRITIQUE – PARIS (ottobre 1934)
Ruzzante par Filippo Petroselli (Bemporad et fils, Turin)
Ce n’est que l’histoire d’un âne peu maniable et qui fait des siennes, précisément dans les moments où cela ne va pas sans dommage.
Cette bouffonnerie, qui n’est pas dénuée de caractère, rappelle un peu les grosses farces du Moyen-Age, les “soties” auxquelles se plaisaient nos pères. Mais qu’on ne s’y trompe pas: si l’âne, Ruzzante est le protagoniste du roman, son histoire ne pourrait bien être qu’un prétexte à peindre de menus événements de la vie courante et des personnages qui n’ont rien de quadrupèdes. Gianmeco, le paysan, maître de l’âne, et le cavalier Biagio Chioppi, maître de Gianmeco, sont étudiés avec un soin de psycologue et leur figures tracées d’un burin profond en traits inoubliables.
A tout prendre, cette histoire d’animaux (c’est à l’ âne que j’en reviens) est peut-être plus instructive que tant de romans prétendus sérieux et don’t la gravité pompeuse distille l’ennui!
Il n’y a pas de “grands sujets” e de petits; il n’y a que des bons e des mauvais livres. Je n’hesite pas à placer l’ouvrage de M. Filippo Petroselli dans la première catégorie.
Lucien Leluc
- LA FIORITA. RIVISTA QUINDICINALE PER SIGNORINE, BOLOGNA (ottobre 1934) – RICERCA IN CORSO
“Piacevole, delicatissimo …”
- PRO FAMILIA (ottobre 1934) – RICERCA IN CORSO
Autentico e geniale umorista. E’ un libro originale e divertentissimo. Ci rammenta Cervantes e meglio Collodi, ma un Collodi moderno, più aggraziato, più campagnolo ed anche più cristiano.
Da questo romanzo c’è da trarre molti insegnamenti: il primo è senza dubbio quello d’imparare a scrivere in bello, fresco, vigoroso stile italiano; l’altro e non ultimo, è di vedere le cose di questo povero mondo col lume del buon senso.
Idilio Dell’Era
- SCUOLA ITALIANA MODERNA (ottobre 1934) – RICERCA IN CORSO
“Petroselli con Ruzzante (che è un asino, ma che asino!) ha creato nel mondo asinesco un tipo che non sarà dimenticato …”
- Quaderni di poesia, a cura di Mario Gastaldi, Como (novembre 1934)
Nel mio precedente articolo su recenti libri di poesia facevo la dolorosa constatazione (checché ne dica l’amico Villaroel) che il pubblico d’oggi non si cura punto dei volumi diversi, e mi domandavo perché allora e per chi se ne stampano tanti.
Non si può dire lo stesso della produzione narrativa. Un romanzo o un volume di novelle, anche quando non sia l’opera di un autore noto, trova sempre il suo pubblico, sia pure dei venticinque lettori che, nella sua infinita modestia, si augurava il Manzoni. Egli è che viene sempre per ognuno di noi un’ora di riposo in cui, messe da parte le cure quotidiane della comune esistenza, siamo punti dalla curiosità di entrare nel mondo fittizio di questi novellatori e conoscere nuove persone per vedere in che modo queste riescano a dipanare il gomitolo della vita e come si comportino dinanzi alla gioia e al dolore. Così, se essi riescono a richiamare il sorriso sulle nostre labbra, ne siamo grati al narratore e, anche quando si tratta di casi non lieti, ci confortiamo nel pensare che non siamo soli a soffrire su questa terra. Benvenuti dunque questi romanzieri e novellieri che ci rallegrano o ci commuovono o ci fanno pensare, ognuno dei quali rivela un suo modo particolare di ritrarre uomini e cose.
Uno di quelli, già indubbiamente esperto nella difficile arte del narrare, è Carlo De Flaviis, che di lettori fedeli ne ha certo più di venticinque perché la folla degli ammiratori gli si è andata infittendo intorno ad ogni volume che ha messo fuori, o è corsa ad applaudirlo ad ogni lavoro da lui portato sulle scene. Il recente volume del De Flaviis, pubblicato dalla dinamica Casa editrice Clet, porta per titolo Il clima dell’amore e contiene undici novelle, nelle quali l’eterno tema è trattato con un acume singolare e con larga dovizie di osservazioni psicologiche, ravvivate da un fine umorismo. “Non siate scettici (egli dice) sulla longevità dell’amore. Trovategli un nido spirituale. Alimentatelo di rinunzia, di desiderio, di attesa e di spasimo. Nell’immensità dello spazio fra cielo e mare, costruitegli una piccola ara di ricordo, di lontananza, di rimpianto: ecco il clima perché viva in eterno”. Alla prima novella che dà il titolo al volume ne seguono altre, vicende liete o fosche impostate con profondità di tocco, nelle quali passa l’umanità moderna, ora scettica e obliosa, ora dolorante per lo strazio della passione che ne flagella le fibre. Sono uomini e donne che si burlano dell’amore, o si lasciano prendere nei suoi lacci insidiosi, che riescono a liberarsene avvinti per sempre come dai tentacoli di una piovra, rassegnati o delusi che cadono per non più risorgere o ribelli che protestano. “Occorre, dice qualcuno fra essi, serbarsi spasmodicamente fedeli al proprio cuore. Non separarsene mai, ascoltare la voce del suo patimento e saper trovare in esso la leva della vita e la luce del proprio destino”. È la disgraziata attrice che vede infranto il suo sogno e abbandona il teatro per morire tutti i giorni un poco, a singhiozzare le sue canzoni in una compagnia di posteggiatori a Posillipo. È l’uomo tradito che crede inutile di spegnere con gli avanzi del suo cuore distrutto la vivida fiamma dei cuori altrui, perché quelli che devono vivere disprezzano la parola ammonitrice di coloro che hanno vissuto. È un gentiluomo, un eterno giovane gaudente che ha avvicinato molte donne nella vita e si vede morire tra le braccia l’unico figliuolo, il quale si è ucciso per amore di una di quelle donne di cui si è incapricciato suo padre, e, con accorato rimpianto ammonisce un giovane amico: “La paternità deve significare annientarsi, transumanarsi nelle creature che Iddio ci dona come grazia e come meta di vita. Occorre costruire ad esse il nido col calore di ogni nostra rinuncia e di ogni nostro sacrificio. E a questo nido di realtà e di simbolo non preferire neanche l’abbagliante lusinga di una Reggia. Viverci con i nostri figliuoli, scaldarli col nostro respiro, sempre. Essere faro di luce ed umile ombra protettrice di ogni loro felicità più pura e più dolce”. Con questo monito profondamente significativo si chiude il bel volume di Carlo De Flaviis, poliedrico specchio di vita, pieno di luci e di ombre, tutto vibrante di umanità.
Cose del mondo intitola Guido Croce Nanni la sua raccolta di sette novelle, che, come dice il titolo, vogliono essere anch’esse narrazioni di avvenimenti quotidiani. La forma non è finemente cesellata come quella del De Flaviis e l’umorismo è più semplicemente bonario e ridanciano, come ad esempio nella novella intitolata Borgoncini e C. che narra piacevolmente di un tiro birbone fatto in treno ad un ingenuo notaio di provincia; ma vi è pure ritratto con molta verità qualche tipo dolorosamente umano come la donna abbandonata dall’amante nella Beffa, o come il vecchio celibe della Piovra, o come il burbero professore di filosofia dell’Insegna che si lascia commuovere dalle preghiere di una bella ragazza per approvare agli esami di licenza liceale il più asino dei suoi discepoli e viene poi a sapere che la storiella pietosa narratagli dalla ragazza non è che un’ingegnosa invenzione per favorire il proprio fidanzato. E così nel volume non mancano pagine vive, nelle quali si rivelano i pregi non comuni del Croce Nanni, il giovine autore del romanzo “Ammazziamo l’amore”, che segnalai a suo tempo.
I dagherrotipi di Francesco Scarpelli, pubblicati dalla Casa Editrice Quaderni di Poesia, non sono novelle, ma impressioni, quadretti, visioni retrospettive della Roma dell’ante guerra. Lo Scarpelli ci dà appunto in questo volume una vera rappresentazione pittorica di persone e di cose rese in tratti efficacissimi, un ricco album di pastelli e di schizzi a penna e a matita. Il poeta romanesco Gigi Zanazzo, il brontolone e ingenuo omnibus di S. Pietro, il cantastorie Sor Capanna, la friggitora delle Cinque Lune, la bisboccia alla festa del Divino Amore, sono il gobbo Tacconi e il teatrino di Piazza Capranica, la festa notturna di San Giovanni; l’ospitale asilo alle colonne di Massimo, l’ottobrata da Scarpone, le vecchie fontane e fontanelle, la Maremma, Monte Argentaro, il Colle dell’Ansedonia, l’osteria di campagna, e tutta una folla di popolani, di belle ragazze, di buontemponi, di artisti, di merciaioli e di vagabondi che si agita e si diverte fra quelle vecchie cose e ci racconta i fatti suoi per bocca dello Scarpelli con una vaporosa levità di forma, passano in queste pagine come sullo schermo bianco di un cinema e lasciano nel lettore un senso di letizia mista di malinconica nostalgia.
Un altro libro, improntato di sano umorismo, è quello di Filippo Petroselli, edito dal Bemporad. Ricorderete certamente Ronzinante, il cavallo di Don Chisciotte e l’asinello del fido scudiero Sancio Panza. Anche qui si tratta di un umile ciuchino, che, a differenza di quei due quadrupedi, figure secondarie del celebre romanzo, è invece qui il personaggio principale. È stato battezzato col nome di Ruzzante perché sin dall’infanzia era felice di ruzzare di qua e di là come un puledro. L’autore ce ne narra con gustosi particolari la vita, i gusti, le tendenze, le avventure liete o tristi che gli capitano in questo basso mondo dove gli animali a quattro piedi debbono spesso venire sacrificati a vantaggio di quelli a due piedi. È un libro spassosissimo, nel quale attraverso la storia del somarino, il Petroselli, con uno stile spumeggiante ed efficace, assurge ad una satirica dipintura della semplice e furbesca umanità del contado, di giudici, avvocati, periti, maniscalchi, trascininieridove non manca neppure la deliziosa figuretta di una ragazza, Ornella, che confida teneramente a Ruzzante il suo amore per Saurino – e tutto termina felicemente con un matrimonio e un gran raglio di gioia di Ruzzante che “spalancando la bocca fuor di misura sembra volersi mangiare una bella fetta di cielo”.
Molto modestamente Idilio Dell’Era nella prefazione al suo nuovo volume di Leggende toscane, edito dalla Pro famiglia di Milano, dichiara di non aver voluto fare opera letteraria, poiché egli non è né un poeta né un letterato, anche se per isbaglio gli succede di scrivere romanzi o versi. Non gli credete. Nel narrare queste Leggende della sua fiorita Toscana, raccolte dalla bocca di amici o di familiari, egli vi ha messo, oltre il gusto della scelta, una grazia tutta speciale, di tal che le leggende, passando attraverso il suo cervello e la sua penna, si sono rivestite di una luce, di un colore e di un profumo che danno ad esse una fisionomia personale. Basta leggerne una per sentir vivo il desiderio di gustare le altre, come, dopo aver provato il primo sorso d’acqua pura di una sorgente, si sente il bisogno di dissetarsi ancora a quella fresca fonte. Le leggende sono una trentina e c’è n’è per tutti i gusti, gaie e malinconiche, ingenue e mistiche, fantastiche e storiche, umoristiche e drammatiche. Assaporandole, non in mezzo al frastuono della città, ma in un cantuccio quieto della casa, accanto al caminetto acceso, nelle prossime sere d’inverno, c’è da sentirsi riscaldare il cuore da un dolce tepore di pace e di bontà.
E intanto che voi, nella lettura delle Leggende di Idilio Dell’Era, aprite una riposante parentesi tra le fastidiose cure della vita quotidiana, date da leggere al vostro figliuolo il Talismano di Pinin di Maria Pia Sorrentino, la cara e valorosa collaboratrice di tante Riviste. È una recente pubblicazione che fa parte della nuova Collezione “Il romanzo dei ragazzi” di Casa Mondadori, con illustrazioni a colori di Angoletta, nella quale la gentile scrittrice narra la storia di un ragazzo grazioso e delicato come una bimba, ma pronto ad affrontare la vita con l’ardimento e la tenacia di un piccolo uomo. Raccatta per via un ferro da cavallo e crede di aver trovato un talismano che gli porterà fortuna, e passa di avventura in avventura e non s’avvede che il vero talismano per affrontare le battaglie della vita e la forte volontà che deve sempre spronarci sulla via del bene. Intorno al piccolo protagonista, si muovono altre care figure, la nonna Maria, la portinaietta Regina, delizioso tipetto di bimba, il giardiniere, altri ragazzi Dino, Mimì, Isotta, e il Conte D’Altura e la sua fida governante Teresa, tanto buona ed operosa, delle quali figure, così simpaticamente presentate dalla narratrice, il piccolo lettore sarà assai lieto di fare la conoscenza.
Ed ora mi resta a parlare di un libro di un giovanissimo: La creatura dell’attesa perenne di Ninì Napoletano, edito dalla Clet.
È anch’esso una raccolta di novelle, qualcuna più compiuta, qualche altra frammentaria come un semplice stato d’animo, colto con sincerità. L’amore vi predomina, e nel libro di un giovanissimo non deve sorprendere. Anzi, speranze, giuramenti di fedeltà, gelosie, un’elegia sul mare finita tragicamente, un’anima femminile che rinasce alla vita al suono di un notturno di Chopin, un’anima maschile che, per l’amore incompreso di una donna, piomba nelle tenebre della follia, una semplice figlio della terra che, preso miseramente nella pania d’una donna leggera, si riabilita immolandosi al fronte e lasciando solo nella casa deserta il povero padre, una interessante fanciulla bruna Mariella, la creatura dell’amore fidente e tacito, raccolta in sé nell’attesa perenne dell’uomo che ha colmato di speranze vane il piccolo cuore di lei. Sono complesse vicende, colte dal Napoletano con verità e singolare perizia che dimostrano in lui un’attitudine non comune di novellatore e qualità di psicologo che avranno opportunità di rivelarsi ancor meglio nel ciclo di romanzi che egli va preparando pel nuovo anno.
Onorato Fava
- Moda. Rivista ufficiale della Federazione nazionale fascista dell’industria dell’abbigliamento, Mensile, Roma /Milano (novembre 1934) – RICERCA IN CORSO
“Notevole in questo libro arguto e spassoso che ci mette di fronte ad un narratore di larga e facile vena, quell’equilibrio, quel buon senso che caratterizza l’opera dei maggiori scrittori italiani … una visione riposata e tranquilla della vita che sa limitare i suoi aspetti e le sue necessità e riesce cosl a superare gli ostacoli ed a toccare da vicino il porto della felicità che è rappresentata solo dal godimento delle piccole cose …”
Olindo Giacobbe
- IL RAGGUAGLIO LIBRARIO. Rassegna mensile bibliografico-culturale, Milano (giugno 1934 / giugno 1935) – RICERCA IN CORSO
… vi sono molte situazioni buffe, ricche di umorismo. L’autore ci persuade con garbo di mille umili verità senza parer di farlo …
1935
- (LA) PROVINCIA DI BOLZANO (2 gennaio 1935)
Filippo Petroselli, scrittore disinvolto ed arguto, novelliere facile e ameno, ha al suo attivo diversi volumi, fra i quali mi piace ricordare, per i suoi pregi di stile e di contenuto, “L’Ampolla della gioventù”, edita non molti anni fa dal Campitelli. Il motivo di questo libro, di cui a suo tempo si occupò la critica, non appare del tutto nuovo ed originale, rassomigliando molto all’argomento di un’opera classica, e precisamente del “sexagenis”, ovverosia l’uomo di sessant’anni, di Marco Terenzio Varrone, opera che trattava di un tale che addormentatosi fanciullo di dieci anni si sveglia dopo cinquanta e trova tutt’intorno mutato, le leggi e i costumi trasformati, se stesso da bambino impubere divenuto riccio setoloso! Ma il Petroselli, con fine accorgimento, modificando tale classico spunto, ha opportunamente sfruttato la “fabula” e ne ha saputo trarre effetti e combinazioni, che pur non risultando proprio originali, riescono a dare al libro un gradito sapore di comicità che non cessa mai di essere sano e signorile. Dall’Ampolla, in cui si fermentavano appena i germi di un “humor” che sembrava non avesse saputo trovare ancora un terreno favorevole per svilupparsi sufficientemente, a questo “Ruzzante”, che vede ora la luce (Bemporad, L. 10), così chiaro nella sua espressione, così organico, il processo di evoluzione artistica dello scrittore, venutosi maturando in pochi anni, è più che evidente. “Ruzzante” è un’opera che ha trovato una giusta espressione in un tono che quasi sempre sa adeguarsi all’argomento. Racconto bizzarro, qualche volta anche troppo caricato, raramente scabroso, in questo libro non è un “humor” che ghigna, è piuttosto il sorriso di un pessimista senza vera amarezza, il bonario sorriso anzi; ché spesso, come in qualche scena un po’ in contrasto perso, in cui l’inverosimiglianza più favolosa, unendosi e fondendosi al più crudo verismo, riesce a creare strane avventure che ti danno lì per lì l’apparenza di una comicità superficiale e ridanciana, ma che se tu meglio le ponderi, soffermandoti di più ai loro intrecci, finisci per scoprire che esse racchiudono simboli e verità profonde.
L’ “humor” che il Petroselli ha profuso … il suo carattere sentimentale è in una descrizione viva e commossa della natura a cui l’autore s’abbandona facilmente, questo “humor” traducendosi in un sentimento di commiserazione verso le miserie della vita e i suoi non sempre forti protagonisti che le patiscono, tradisce la sua origine e si risolve infine, attraverso il motteggio, in un’indulgenza verso ogni sorta di peccati. Il male palliato alla superficie, si propaga nell’intimo, scava dentro, e quel gusto apparente di irridere anche alle cose che più rivelano la lotta del dolore e lasciano, a guisa di solchi, i segni del combattimento, non è che un’espressione mascherata di questo sentimento operante.
Per ciò, a me sembra di ritrovare qualche affinità fra le intenzioni del Petroselli e certi atteggiamenti etico-filosofici del grande Cervantes, se non foss’altro per la rappresentazione fantastica in cui si viene risolvendo il contrasto fra ideale e realtà, tra immagini, sogni, aspirazioni e crudezze, ingiustizie, malvagità inevitabili nel mondo, tra la consolatrice armonia della creazione ed alcune sconfortanti dissonanze della vita.
Tutto questo si traduce attraverso la storia di un asino, troppo irrequieto, che non sa comprimere gli impulsi del suo istinto. Ma sono tante le vicende nelle quali il comico quadrupede coinvolge e travolge cose e persone, ma tanto il Petroselli ha saputo creare un suo clima e un suo mondo in questo racconto, che la storia di Ruzzante, che altri non è se non il ragliantissimo protagonista, senza quasi che ce ne accorgiamo, diventa a poco a poco la storia del suo padrone e dello scaltro fattore, o di Ornella appenata d’amore, o di quell’altre persone che gli stanno intorno, e le avventure invero strane dell’animale altro non possono essere che il pretesto per condurre il lettore, sempre più distratto dalle bizzarrie di esse, tra genti e paesi che, se hanno tutte le caratteristiche comuni, si trasformano come d’incanto assumendo immagini, figure, paesaggi, panorami inverosimili.
Di qui l’originalità che racchiude e che desta questo libro divertentissimo dalla prima all’ultima pagina, che il Bemporad ha stampato con nitida veste e che Carlo Nicco ha decorato con due piccoli, semplici ma gustosi fregi. Gino Rovida
GINO ROVIDA
- QUADRIVIO GRANDE SETTIMANALE LETTERARIO ILLUSTRATO DI ROMA (12 gennaio 1935)
Abbiamo letto con piacere questo romanzetto paesano e rusticale, imperniato sulle avventure e disavventure di un asino (Ruzzante). L’Autore dimostra di possedere una buona mano per simil genere di lavori, e riesce a tener desta l’attenzione del lettore per circa trecento pagine. Lo stile familiare e l’eloquio presso che dialettale contribuiscono alla vivacità del racconto, sul quale c’è da dire inoltre (ed è forse quel che più conta), che si riallaccia ad una tradizione che ebbe eminenti rappresentanti, quali Renato Fucini, e che oggi è quasi morta.
- L’ECO DI BERGAMO, quotidiano cattolico (1935) – RICERCA IN CORSO
Ruzzante, somaro geniale e festevole …
- CIMENTO, NAPOLI (marzo 1935) – RICERCA IN CORSO
Emeroteca – Biblioteca Tucci, Napoli, Istituto centrale per il Catalogo Unico
L’autore con questo libro brioso, umoristico, commovente e più umano che non si pensi, vince una bella e ardua battaglia a favore della letteratura umoristica italiana. Qui l’artista con quadrate concezioni, con varietà di argomenti, con vivacissima verve, con spontaneità di getti ed originalità di situazioni imprime la sua chiara originalità, alimento di proprio sangue e di sottile pensiero, la figura centrale e le varie parti. de li a sua opera – padrone della lingua e acceso di estro fecondo – creando un piccolo capolavoro di cui sentiremo più tardi i benefici …
- ILGIORNALE DEGLI IMPIEGATI, Como (marzo 1935) – RICERCA IN CORSO
Un libro come questo dovrebbe penetrare nelle scuole se è vero che l’Arte è – come deve essere – funzione altissima di ardente spiritualità creatrice e formatrice …
G. Porciani
- OSSERVATORE ROMANO (1 marzo 1935)
Ruzzante è un asino che, qualche volta, riesce a dare lezioni di buon senso agli uomini. Non sembri strano quindi che Ruzzante per tutto questo abbia potuto meritare un libro, scritto in buon italiano e con una certa vivacità che piace, da Filippo Petroselli, Docente di Psichiatria nell’Università di Roma.
Il libro, edito recentemente in bella veste tipografica da ben di Firenze, non tende soltanto a divertire, ma soprattutto a educare, anche attraverso un tono ironico che sa, senza pedissequa imitazione virgola di manzoniano.
L’umorismo da cui sono pervase le belle pagine di Ruzzante, assomiglia in qualche cosa a quello russo: è un sorriso che lacrima, è una lacrima che sorride, e chiunque abbia letto il libro di Petroselli, potrà riconoscerlo. La stampa italiana e quella estera, giudizi di critichi di critici insigni non facili troppo a elogiare, hanno unanimemente accolto con simpatia la nuova pubblicazione di Filippo petroselli, “il quale – come è stato scritto in una rivista tedesca – col suo libro si è guadagnato una notevole posizione letteraria senza appoggio di tipi stranieri e della tradizione nazionale”.
Più divertente del celebre Idalgo spagnolo ed assai più educativo del famoso burattino di legno, Ruzzante è personaggio divertentissimo, protagonista di un romanzo italianamente paesano e saggio a dire di un letterato di fama.
Il sugo della storia, direbbe Manzoni virgola e questo l’ambizione che suscita la canzonatura anche d’un asino, la stranezza di un uomo caparbio che vorrebbe dar dar consigli d’equilibrio, l’eccessiva in minuziosa considerazione delle cose accessorie per perdere di mira le necessarie, perfino la stessa pietà, mentre l’asino rimprovera, accusa, si commuove incontrando per via la madre morente alla quale da, come può il suo bacio.
Per un nativo disprezzo verso la retorica ruzzante in parte dalla sua cattedra troppo umile invero lezioni di filosofia pratica; Insegna cioè con quella bonomia che gli è naturale, a non esagerare mai, a pazientare sempre, a ricordarsi di chi soffre; e credo che ciò non sia poco.
Mario Spediacci
Origine: https://www.osservatoreromano.va/it/pages/il-giornale.html
- ASPROMONTE (aprile 1935 ) – RICERCA IN CORSO
…nello schietto umorismo sapientemente ritratto da uno stile vivo e forbito, il piccolo lettore nell’apprendere la morale evidente, diletta lo spirito ed istruisce il cuore, mentre l’adulto attinge da un’inesauribile fonte di filosofia esplicita e profonda ad un tempo, tutta la bellezza narrativa.
M. BUSILLO
- L’AVVENIRE SANITARIO, Rivista settimanale di politica, giurisprudenza e cronaca sanitaria (aprile 1935) – RICERCA IN CORSO
A F. Petroselli è doveroso il riconoscimento della dignità di vero e grande scrittore. C’è, senza dubbio, il capolavoro …
Giuseppe Alberti
- DRAGO in IL GIORNALE D’ORIENTE – Alessandria d’Egitto (Maggio 1935) – RICERCA IN CORSO
Opera destinata ad incontrare il più largo favore per la sua originalità e per la sua gustosa e veramente piacevole espansione. Il libro pone di colpo l’autore in un piano nobile e questo amabile Ruzzante resterà …
- IL TELEGRAFO, LIVORNO (agosto 1935) – RICERCA IN CORSO
… un bel libro fatto bene e come non si sarebbe potuto far meglio. Di quante venature saporose questo libro è attraversato ed arricchito! … Alessandrini
vedi > Biblioteca dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea Nella Provincia di Livorno (Istoreco) – Livorno (LI)
- LA VEDETTA ARTISTICA, quindicinale letterario teatrale, Catania (agosto 1935) – RICERCA IN CORSO
Scrittore genialissimo, di largo respiro, suadente, organico, artista di polso, di una limpidezza cristallina di vasta e solida architettura narrativa . . . ci sono pagine che fanno gonfiare il cuore … L’originalità di questo asino straordinario interessa moltissimo e soprattutto diverte; ma la nobile fatica dell’artista va anche segnalata con tutta a nostra ammirazione per il complesso, vasto e armonico processo di arte, svolto in rapidissima sintesi e in profonde analisi …
Cecilia Chines
- Varietas, rivista illustrata, Milano (settembre 1935 – Anno XIII)
Originale, seppure non perfettamente omogeneo, lo strano romanzo di Filippo Petroselli: lo scrittore segue, dal primo… raglio vitale attraverso a tante tumultuose avventure, (che portano lo scompiglio in un pacifico centro di provincia; che ci permettono di penetrare a fondo la psicologia del contadino e del suo padrone, la fedeltà non sempre convinta di chi è aggiogato ad una fatica, necessità della rivolta, magari segreta) uno strano asino, come se fosse il protagonista principale.
Alla descrizione colorita e densa della vita dei campi, della comunione tra le forze feconde della natura e degli esseri viventi, si alternano rapidi scorci di filosofia – piuttosto amara – si annodano le vicende di Gianmeco e del signor Biagio: ed ogni tanto il filo della narrazione sembra interrompersi; ma, ecco, si rinsalda, invece, in forza di un avvenimento straordinario o grottesco. Squillano sonore risate; si svolgono piccanti dialoghi; si respira la grassa allegria, l’arguzia condita di saggezza tutta propria del contadino.
E l’asino sembra tante volte capire, dar segno della sua partecipazione ai segreti e alle direttive degli uomini. Poche ragioni ha Gianmeco di essere felice, pochi motivi di gioia s’alternano nella sua vita: ed allora per lui, la sicurezza che Ruzzante intenda e capisca è già un balzo verso una solitudine meno vasta.
Senza dubbio (possiamo concludere con lo scrittore) noi uomini che pure ci affanniamo a gridarci fratelli, siamo sempre troppo soli.
MARIA GIALANELLA
In Libri in vetrina
Luisa Sartori, Foglie, Casa editrice Quaderni di Poesia, Milano
Armando Zamboni, Torneo senza bando, Casa editrice Quaderni di Poesia, Milano
Domenico Costantino, La tenue accolta, Casa editrice Quaderni di Poesia, Milano
V. Varanini, L’Abissinia attuale sotto tutti i suoi aspetti, con dieci tavole fuori testo e cartine geografiche, G. B. Paravia, Torino
Mario Sanvito, Un po’ di Milano. Studi storici, Prefazione del Senatore Vincenzo Cappa, Casa Editrice Elettra Milano
- BOOKS ABROAD, Vol. 9, No. 4 (Autumn, 1935)
Ruzzante is a very fiery donkey whose chief claim to glory is His Ability to read what goes on in the minds of his driver and of his own. The latter, a retired businessman, has a thin veneer of classical knowledge and a baggage of quotations which he displays with great gusto in the course of his conversations, especially when the ideas come slowly. His audience is usually his driver, a plain and unpretentious former with “scarpe grosse e cervello fine”. One fine day the old owner decides to hitch his youthful donkey to a dilapidated buggy. He sets out with his driver on a tour of the country. Ate the moment begin the ordinary and comic adventures of the three characters who end by becoming emmeshed in the toils of law. It is an amusing book, with attractive scenes of Italian country life.
Michele Cantarella, Smith College
Traduzione: “Ruzzante è un asino molto focoso la cui principale pretesa di gloria è la sua capacità di leggere ciò che passa nella mente del suo autista e del suo proprietario. Quest’ultimo, un uomo d’affari in pensione, ha una sottile patina di conoscenza classica e un bagaglio di citazioni che mostra con grande entusiasmo nel corso delle sue conversazioni, soprattutto quando le idee arrivano lentamente. Il suo pubblico è solitamente il suo autista, un contadino semplice e senza pretese con “scarpe grosse a cervello fine”. Un bel giorno il vecchio proprietario decide di legare il suo giovane asino a un calesse fatiscente. Parte con il suo conducente per un giro del paese. A questo punto iniziano le avventure ordinarie e comiche dei tre personaggi che finiscono per finire nelle maglie della legge. È un libro divertente, con piacevoli scene della vita di campagna italiana”.
- L’Idea cristiana, Cefalù (ottobre 1935)
Ruzzante, capolavoro della narrativa italiana, trionfalmente incede coronato di lauri dalla critica militante. Ciò è motivo di intima contentezza per me, e per la fraterna amicizia che mi lega a Filippo Petroselli, ed anche perchè fui il primo che, nel recensire la l’amenissimo romanzo, non esitai a metterlo molto vicino al Don Chisciotte. Non crediate, o lettori che Ruzzante sia un alto personaggio a due piedi, è solamente un asino, anzi un superasino, che non va al di là del bene e del male ma che, nato nel mese di Marzo, nella campagna romana, vi vive, ne combina di tutti i colori, dà sempre agli uomini lezioni di buon senso, e alle donne talvolta di morale.
“Era una di quelle mattine di primo marzo, assai malate di irrequietezza, quasi pazze. Il barbuto e canuto inverno tentava, ogni tanto, stringere ancora a sè la dolce primavera che se la divertiva, ridendo, nel suo andirivieni sull’altalena.
Ma ecco che, ad un tratto, si rispalancano in silenzio i finestroni del cielo: ancora azzurro, luce, estasi. La campagna sorride quasi contenta della burla celeste: il ricamo delle acque riscintilla come vene tremule di desiderio e gli uccelli riprendono le leggiadre schermaglie, i voli a due e le rime sospese.
Ma la gioia è breve. Ecco ancora il buio. Timore in terra e fragore in cielo. Ma lutto e minaccia è un breve scherzo ancora. Canti, sorrisi, sole …”.
Questa magnifica pagina, questa descrizione di marzo, per la nascita di un asino! Vi sono pagine che fanno pensare a “Quel ramo del lago di Como …”.
Bene a ragione Niccolò Tommaso Portacci (di Taranto, autore di versi, ndr.) rimane in estasi davanti alla prosa stupenda e la definisce pittura michelangiolesca e musica belliniana.
La Nouvelle Revue Critique a firma di Lucien Leluc ne ha parlato con vivo entusiasmo. Fernand Brisset ne Le journal de Bernay, la Neue Zürcher Zeitung, l’Archiginnasio di Bologna, la Sera di Milano, L’Italia che scrive, Gli Oratori del Giorno, La Tribuna, Il Giornale d’Italia, L’Ora di Palermo hanno presentato ai lettori il romanzo di Filippo Petroselli, inneggiando al capolavoro.
L’osservatore Romano, restio alle facili recensioni, lo ha trovato più divertente del celebre idalgo spagnolo ed assai più educativo del famoso burattina di legno. “Ruzzante – dice – è personaggio simpaticissimo, protagonista di un romanzo italianamente paesano e saggio”.
Poeti, artisti, scrittori hanno avuto per l’asino parole di vivissima lode.
G.A. Cesareo, Guido Mazzoni, Onorato Fava, Ercole Rivalta, Francesco Aquilanti, Giuseppe Longo, Ettore Strinati, Arturo di Vita, Gino Rovida, Armando Zamboni, Arturo Farinelli, Paolo Orano, M. F. Sciacca e tanti e tanti altri.
Ma il caro Ruzzante conta al suo attivo anche una stroncatura, che non va presa in considerazione; quando il fior fiore d’Italia ha carezzato il pelo ricciuto dell’asino indemoniato, non è il caso di pensare al contropelo fatto da una scrittrice del Giornale di Sicilia forse perché il giornale L’Ora ne aveva detto troppo bene. Miseriole che non dovrebbero sopravivere in Regime Fascista!
Comunque Ruzzante capolavoro di stile e di umorismo, ruzzante terrore delle conferenziere, di certi monumenti, e dei sediari che arrivano a carpire le onorificenze, che fa impallidire anche i giudici, è stato tradotto in varie lingue e tra non molto comparirà sullo schermo per farci dimenticare, con le simpatiche diavolerie, le nere tristezze che come pesanti nuvoloni talvolta incombono su noi poveri mortali. Docente in psichiatria nella Università di Roma, Petroselli è nato scrittore. “Il sole malato” e l’altro “Nel paese di Don Gebboso” mettono il Petroselli in primissima linea tra gli scrittori contemporanei. A Riccardo Forestieri che ha trattato, con la solida competenza, dell’arte di Filippo Petroselli, è che in nitido opuscolo ha voluto riunire i giudizi più significativi su Ruzzante, il nostro plauso sincero.
All’Autore del Simpatico Ruzzante auguriamo che l’Italia con uno dei premi migliori possa presto coronare le sue feconde fatiche.
Filippo Agnello di Ramata
- Nostra Gente, Catania (Anno XIII 1935 pp. 185 – 196)
Edizione dello Studio editoriale La Pagine, Catania (Numero Unico Natale – Capodanno), Redatto da Riccardo Forestieri
Estratto da SMORFIE E SORRISI (Vol. III) di Domenico Costantino
“Esordì ventenne con una raccolta di novelle allegoriche intitolate «La Via». Un po’ più tardi si dedicò a studi di etica e di arte intorno alla Commedia dantesca rivolgendo le sue indagini, attente ed elaborate, per quanto strettamente sintetiche, alle parti più vitali del poema, nel qualeha saputo scorgere punti di contatto, non viziati né viziosi, con la moderna anima nostra. È, d’altro canto, poeta di schietta e fresca ispirazione, come documentano i suoi inni «Alla Martana» ed «Alla Bisentina».
Ma se fece le due ultime guerre e fu tra i primi in prima linea al fronte, ebbe anche tempo, in quei sei o sett’anni, di studiare tipi e figure che ritrasse nel 1922 in «L’Ampolla della gioventù» e in «Storielle paesane» di cui si disse, non a torto, bene. L’insegnamento e la professione
Di medico non lo hanno poi distratto da una collaborazione saltuaria, ma intensa, nei maggiori quotidiani e nelle migliori riviste.
Un uomo, dunque, che, purché lavori, vive e crea, comunque faccia, insaziabile di bellezze e di conquiste, felice di una felicità suprema, modesto di una modestia innata, diritto e terso come l’acciaio. Scintilla al sole; e, se piove la pioggia non lo corrode. Non teme la ruggine, come non teme la bufera. Una lama che fende l’aria per colpire nel segno. Ma non fa male. E se lo fa, è tutto bene che ne viene. Così è la sua vita come la sua arte: un umorismo che sferza e sana, privilegiato da una moralità tutt’altro che bigotta, ma spiritualmente concepita in un ordine principale di idee eminentemente filosofiche e profondamente psicologiche e sociali.
Oggi richiama la nostra attenzione sul suo nome con la divertente storia di un asino. Di asini, invero, ne conosciamo abbastanza, specialmente noi che litighiamo con i libri, e ne eravamo un po’ stufi per quanto ce ne disse il Collodi, esageratamente esaltato.
Ma un asino come «Ruzzante”, (così si intitola la storia che ci narra il Petroselli, edita dal Bemporad di Firenze) non l’avevamo conosciuto. Asino buono, onesto, ma originale e, soprattutto, interprete fedele dei pensieri e dei sentimenti dei padroni.
Quando una cosa non gli va, la rompe con tutti, persino coi giudici e con la giustizia, con le ragazze imbellettate e con monsignore che fa molto attendere i festaiuoli per la benedizione delle ·bestie, con l’oratrice che inaugura un monumento cittadino, con una giovane e bella contadina che ha acceso i desideri del sor Biagio, e col domatore che vorrebbe farne pasto dei suoi leoni: con tutti … E se gli piglia il verso di fare il filosofo, lo sa fare meglio di noi, più di noi; per lo meno ci insegna a saper vivere nel mondo, e c’ insegna qualche cosa, che diciamo di conoscere e non conosciamo. Dunque, un asino filosofo? Sissignori. Ed è merito di Filippo Petroselli averlo saputo creare con una linea di condotta diritta, inflessibile, moralizzatrice …. Ma quante gliene avevano dette … povero Ruzzante!: «occhi troppo ardenti» «che per giunta s’accendevano spesso di lampi fosforescenti come quelli dei gatti nella notte, una macchia bianca sopra uno zoccolo e, soprattutto, un codino corto e senz’ombra di pelo».
E poi:
– Codino spelato, somaro sgraziato!
– Balzano da uno, somaro di nessuno!
– Somaro marzolino, vale meno di un quattrino!
Ben fa dunque questa bestia se ne fa passare di tutti i colori! E meno male che il padrone non crede ai pronostici di certa gente, perché «Chi ha un po’ di religione non deve essere superstizioso!»
«Ha un codino spelato e corto! – Ebbene? Quid mali? Che male c’è?! ...
Peggio per lui che non potrà scacciarsi tafani!
– È balzano da uno!
– Meglio! Se ce lo rubano lo ritroveremo! … ·
– Ab! sì? Beato lei! … Camperà cento anni!
– Se proprio non ti piacerà lo tingerai!
– Ha gli occhi come il fuoco! ·
– Ci vedrà, meglio di notte».
E qui interviene l’autore tra il padrone e Gianmeco: «Gianmeco aveva trovato il padrone in quello stato di beatitudine nel quale l’uomo abbandonandosi alle onde carezzevoli dei dolci pensieri, si lascia cullare al largo della vita tra cielo e mare e non vede che azzurro.».
«Fu sulle prime veramente un po’ contrariato dall’accoglienza del padrone; poi, stizzito che scherzasse sulla notizia con rabbia si stiracchiò i radi peli ancor biondicci dei baffi».
«Però, vedendo quell’uomo così istruito persistere con quel faccione sorridente, finì per spianare le rughe delia fronte e posare con una certa famigliarità il cappello sulla scrivania».
Ma Ruzzante par che profitti di certe debolezze, e fa i comodi suoi, e persino vuol dettar legge …
Questo poi no:
«… Così non la può durare! … d’altra parte, questo è fermo! , sai che sono uomo
di carattere … i paesi tanto li voglio vedere! … non solo per me, ma anche per rimetterti il debito … e Ruzzante ci dovrà portare! Corbezzoli! farci dettar legge da un somaro, dalla «bestialità! … mai e poi mai! … ».
Ma gli uomini, a parlar così, non hanno cuore. No. «Purtroppo molti assomigliano ai porci in brago: tutta pancia; poco cervello e poco cuore».
Ruzzante (lo volevano chiamare Ruzzoso, e proprio Gianmeco!) queste cose le sa perché le intuisce nell’ambito del suo mondo allegro – come dire – per una tal quale osmosi psichica che determina tutte le sue bizzarre azioni. Però intuisce e comprende il pensiero dei due padroni soltanto dopo i frequenti salassi cui è costretto il mezzadro dal sor Biagio perché questi crede Ruzzante, con quelle orecchie sempre all’erta, troppo sanguigno e pericoloso!
E allora la sua bestialità, che è relativa all’ intelligenza del Cav. Chioppi o sor Biagio suo padrone (un ex seminarista infatuato di latinorum!) può giovare a qualche cosa. Se non altro, a moralizzare le giovinette del ‘900, civettuole, troppo scollate, troppo cariche di minio e di cinabro; a far capire a Monsignore che non è giusto fare attendere nella piazza, spazzata dalla gelida tramontana, così tanto i fedeli e quadrupedi per la benedizione di un minuto; a rinfrenare la balda giovinezza di chi non ha rispetto per il padrone non più giovane e così via … sino a insegnare allo scornato domatore che gli istinti non si frenano con la frusta … Allora lui, povero Ruzzante!, doveva esser buono soltanto a tirare il vecchio pesante «bagaro» su cui se la spassavano sor Biagio e Gianmeco per visitare i paesi del Viterbese e (riuscendo nel!’ impresa!) per far condonare dal padrone al mezzadro – che lo aveva descritto così male per le fandonie udite dai compari quando nacque – un debito di tre mila lire … Lui, povero Ruzzante, doveva esser buono a tutto questo! No e poi no! Lui, come gli uomini, è capriccioso, e se non è religioso come il sor Biagio, si sente però trasmettere subito, appena che lui li pensa, tutti i suoi pensieri, e sente quel che egli sente. Quid mali?
II.
Il lettore avrà compreso che il libro di Filippo Petroselli non è del genere che si può riassumere in due pagine o definire in due righe.
Opera d’arte autentica, organica e solidissima, non si presta a riassunti ed a smembramenti: si deve leggere per intero per poterla gustare, penetrare, seguire e convenientemente apprezzare.
Non è un romanzo, e non è nemmeno una storia: potrebbe essere un racconto esclusivamente moralistico, ma è qualche cosa di più, anche dal punto di vista artistico: è un’opera ché sviscera la vita, la società, gli uomini, le cose, e li coglie nel loro lato debole, e li bea di salutare ironia, di satira acre e pungente, e tende a redimerli attraverso il crogiuolo di una esperienza lancinante ma fervida: attiva, potentissima leva per il benessere sociale.
Un libro che va per tutti e che dovrebbe penetrare nelle nostre scuole se è vero che l’arte è – come deve essere – funzione altissima di ardente spiritualità creatrice e formatrice.
Perché Filippo Petroselli è – a mio giudizio – uno di quei pochi scrittori ricchi dì spirito originale che istruisce dilettando. Scintillante, brioso, ricco di fantasia e di ardore, caustico ma non maligno, suscita il riso per tergere le lagrime; si compiace della comicità con infinita pietà per gli uomini ai quali vuole scaldare il cuore sanguinante con la fiamma del suo caldo umorismo consolatore.
Ma I’umorismo è amarezza, è senso tragico di vita: l’artista si eleva sulle piaghe dopo averle scoperte, e fa piovere sugli afflitti i raggi del suo sole.
Ogni capitolo di «Ruzzante» ha il sapore di una macchietta, ma, in sostanza, è un’acquaforte viva, trattata con magico bulino. L’umorismo è di una finezza insuperabile: ne riscontriamo, della stessa lega, in Dickens, più che in Cervantes.
Ma il libro bisogna centellinarlo per poterlo gustare. Letto d’un fiato, si perde il senso altamente filosofico e umano che vi serpeggia da una pagina all’altra e non vi si può scorgere tutta l’amarezza di cui trabocca l’anima dello scrittore.
Io non Iessi mai d’un fiato I Malavoglia di Verga: sono quadretti che si ammirano e si apprezzano con comodità dello spirito più che con curiosità di lettori.
A riportare pagine di «Ruzzante», non la finirei. Ve ne sono incisive, finissime, spontanee, ma sempre semplici e piane, italiane nel suono, nel senso e nella parola, efficaci nelle descrizioni, scultoree nel rendere i personaggi, valide nella efficienza estetica del periodare, nella travagliata analisi psicologica, saporose e pensose, calde e umane, frizzanti e giocose. Rileggiamone una:
«Era una di quelle mattine di primo marzo, assai malate d’ irrequietezza, quasi pazze. Il barbuto e canuto inverno tentava ogni tanto, stringere ancora a sé la dolce primavera che se la divertiva, ridendo, nel suo andirivieni sull’altalena. Qua e là finestroni di cielo turchino tra cornici e colonne cinerine; sopra monti e colli, alte montagne di nuvole bianche, soffici, spumanti in silenzio.
Giù, verso il mare, un velame turchiniccio stracciato ogni tanto da saette d’oro o brontolante di tuono. Ora ombra, ora sole. Nelle sue occhiate rapide la campagna abbarbaglia nel verde tenero: si lucidano i grani, le gemme si scaldano e si guardano stupite, guizzan le rondini garrendo con gioia più viva … Ma subito il sole si pente, cala la sua palpebra arcigna ed il breve sorriso della campagna si spegne. Essa s’ aggronda nel lutto improvviso; e taccion le rondini timorose sotto uno schianto di tuono, mentre volita qualche foglia secca al fiato freddo che soffoca i sommessi gorgheggi degli usignoli.
Grandine, morbida però ed innocua, batte i rami ridesti e le nuove foglie delle primole, per ischerzo, senza offesa.
Ma ecco che, ad un tratto, si spalancano in silenzio i finestroni del cielo: ancora azzurro, luce, estasi. La campagna sorride quasi contenta della burla celeste: il ricamo delle acque riscintilla come vene tremule di desiderio e gli uccelli riprendono le leggiadre schermaglie, i voli a due e le rime sospese.
Ma la gioia è breve. Ecco ancora il buio. Timore in terra e fragore in cielo».
Vi è qui proprietà di lingua, trasparenza di colore, sicurezza di tocco e felicità di espressione; ma un quadro vivente ci è dato dalle seguenti battute:
«-Che hai pensato contro di me!?
Gianmeco si sentì il pugno padronale a fior di naso. Serrò gli occhi perché la terribile verità gli era balenata in mente.
– Povero me! Stamane ha capito che Ruzzante ci capisce!
– Io!? – esclamò, il sornione fingendosi trasecolato mentre riapriva gli occhi e cercava di sviare il pensiero come una vacca, sbandata nel roveto, verso il verde pascolo.
— Sì! tu I — ribatté il vecchio che, al terrore del soccio, aveva sciolto il pugno e lucidava con le mani nervose il pomo d’oro della mazzetta.
– Le giuro, signor padrone che … io … mai contro di lei! … le pare !? così buono con me … io … lui… – Le tre mila lire come tre mila occhi lo fissavano magnetiche e lo rendevano balbuziente».
Avete sentito? «… così buono con me … io … lui …». È uno stato d ‘animo alquanto difficile e che pure è reso con una sola battuta.
***
Del libro di Filippo Petroselli si sono occupati critici di grande valore, e vedo che giornalmente se ne occupa pure la stampa italiana ed estera (1).
Ciò non significa che il libro sia di una perfezione assoluta, né sia immune di certi difetti di origine! Ma appunto perché è un piccolo capolavoro, un’opera viva, dinamica e formidabile, è discussa, e talvolta magari fraintesa. È certo l’opera più resistente che l’autore ci abbia dato sin oggi.
Qualche volta è chiaro lo sforzo di apparire umorista, tal altra difetta il rilievo dei contorni, tal altra ancora è un po’ forzata la satira.
Ma i caratteri sono di granito, come le due figure centrali (Sor Biagio e Giammeco), la concezione è compatta, largo il respiro, maestoso lo sfondo io cui vive Ruzzante ed operano gli altri.
Gioventù, San Martino, Il Monumento, Orecchini ed incontri, La sentenza, Agonia e fanfara di libertà, Ad Leones, – per citare alcuni capitoli, sono di una potenzialità artistica inarrivabile. E in tanto più originali e vitali si rivelano, in quanto la personalità dello scrittore è tutta qui, indipendente e sovrastante, chiara e inconfondibile, anche quando dipinge figure secondarie, come la serva curiosa che è tanto coerente e reale. Per cui egli vince, con questo suo libro – commovente e più umano che non si pensi – una bella e ardua battaglia a favore della narrativa umoristica italiana, in evidente decadenza.
- Di recente ho letto, tra gli altri non pochi, un magnifico articolo del valoroso Brisset, Accademico dl Francia, il quale ha giustamente riconosciuto che Ruzzante è un’opera «profondamente originale». Ma la critica meritatamente esalta in questi giorni l’altro romanzo del Petroselli, «Il Sole malato», comparso a puntate ne La Festa di Roma e prossimo ad uscire in volume. SI divide lo due parti: reale – fantastico, un bianco e nero di suggestiva potenza, di contenuto universale, cui partecipano, con rigoglio di vita e di azioni, anche figure straniere.
La prima parte, è ricca di umorismo; nella seconda, che è la parte seria, vi son capitoli che il Dorè avrebbe ottimamente illustrati. È, in sostanza, un libro che combatte con le armi dell’Arte per la pace universale …
BIBLIOGRAFIA
«La Via» (Novelle allegoriche), Tip. Diocleziana, Roma 1910.
«Etica ed Arte nella Divina Commedia», Industrie Grafiche Urcionio, Viterbo, 1921.
«L’Ampolla della gioventù e Storielle paesane», Ed. Franco Campitelli – Foligno, 1922.
«Alla Martana» «Sole e cenere» nel!’ «Antologia Scrittori» dello Studio di Propaganda Editoriale – Napoli, 1931.
«Alla Bisentina» «La bara» «Rondoni», Idem – Volume terzo – 1931
«Ruzzante», Bemporad – Firenze, 1934
«Il Sole malato», Rivista La Festa – Roma, 1934 (cfr. La festa rivista settimanale illustrata della famiglia italiana)
- Niccolò Tommaso Portacci su Domenico Costantino (Cronache letterarie e artistiche, pp. 266) In Nostra Gente, Anno XIII 1935, Edizione dello Studio editoriale La Pagine, Catania, Numero Unico Natale – Capodanno, Redatto da Riccardo Forestieri
Per il saggio critico su F. Petroselli di Domenico Costantino (Cfr. n. 1), così scrive l’illustre poeta allo stesso Costantino: … “sono profondamente grato d’avermi fatto conoscere uno scrittore di una semplicità strapotente come Filippo Petroselli, e di avermi reso entusiastico ammiratore della sua arte squisitamente fine e del suo pensiero poderoso che par voglia rivestire di modestia i gioielli cesellati e scintillanti delle sue pagine …”.
Per la veramente splendida pagina da te riportata nel cenno critico che hai dedicato a Filippo Petroselli e in specie al suo recentissimo Ruzzante, non si può non sottoscrivere a pieni voti il giudizio d’insuperabile buon intenditore che ne hai espresso tu in due righe: “Vi è proprietà di lingua trasparenza di colore, sicurezza di tocco e felicità d’espressione …
Qua e là finestroni di cielo turchino tra cornici e colonne cinerine, sopra monti e colli, alte montagne di nuvole bianche, soffici, spumanti in silenzio. Giù, verso il mare, un velame turchiniccio, stracciato ogni tanto da saette d’oro o brontolante di tuono. Ma questa non è soltanto arte di scrivere: è pittura michelangiolesca e musica belliniana ad un tempo.
- NOSTRA GENTE. Antologia d’arte, letteratura, scienza, folklore e archeologia (1935) – RICERCA IN CORSO
“Opera d’arte autentica, organica, solidissima! . . . Sviscera la vita, la società, gli uomini, le cose, e li coglie nel loro lato debole, e li bea di salutare ironia, di satira acre e pungente, e tende a redimerli attraverso il crogiuolo di una esperienza lancinante ma fervida, attiva, potentissima leva per il benessere sociale . . . Ogni capitolo di Ruzzante ha il sapore di una macchietta, ma, in sostanza è un’acquaforte viva, trattata con magico bulino. L’umorismo è di una finezza insuperabile: ne riscontriamo della stessa, in Dickens più che in Cervantes …”
1936
- Liguria medica, Rivista quindicinale di medicina e chirurgia pratica ed interessi professionali (febbraio 1936) – RICERCA IN CORSO
Petroselli ha affermato la sua personalità di scrittore. Trattasi di un romanzo ricco di originalità, limpido per forma, vivo nella realtà sua psicologica e sociale. Come tutte le opere veramente d’arte, il libro attrae grandi e piccoli che lo leggono con spirito diverso, ma con uguale godimento per l’umorismo sano che pervade tutte le pagine …
Giuseppe Vidoni
- IL BOCCADORO ARTE, LETTERATURA, POLEMICA, Brescia (maggio 1936) – RICERCA IN CORSO
“Petroselli sembra il prototipo puro dell’arte: libro originale, indiavolato, equilibrato! Quanta filosofia e riflessione, quanto buon senso ! Libro italianissimo, costrutto con la classica arte dell’umorismo nostro che non contorce le cose nello spasimo del ridere, ma le descrive senza parere. Le parole sono preziose, le descrizioni abbozzi, i paesaggi cordate sulle distanze …”.
G.P.
- CRONACA DI CALABRIA Gazzetta settimanale di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria (luglio 1936) – RICERCA IN CORSO
“Una bella storia questa di Ruzzante, divertentissima cd interessante, storia che si rifà alle origini di tutte le storie comiche e tragiche della vita per cui un destino più inesorabile del tempo qui si profila e si afferma nel granitico dell’arte …”.
RICCARDO FORESTIERI
- IL POPOLO BIELLESE, Biella (luglio 1936) – RICERCA IN CORSO
Tutto contribuisce per la virtù di un’arte sincera e profonda a fare di questo volume un piccolo e prezioso capolavoro. L’italianità di stile e concezione è nota incontestabile e precisa: direi meglio la latinità mediterranea, gaia come i nostri cieli. Fuori di luogo dunque il nome di Dickens che taluno ha fatto, come fuor di luogo, per l’inconfondibile personalità di stile del Petroselli, il richiamo al Collodi.
Visioni terse di verità e poesia, brani di prosa ridanciana e burlesca, pagine ricche di commozione: una vera dovizia di pregi …
F.M. Momigliano
- LA RASSEGNA ITALIANA POLITICA LETTERARIA ARTISTICA (agosto – settembre 1936)
Ruzzante, Bemporad – Firenze – L. 10
La storia di un asino balzano da uno e battezzato con questo letterario e sonante nome, ha offerto al Petroselli l’occasione per delineare alla brava alcuni personaggi, scene di vita campestre nel Viterbese, tipi, figure e costumanze. Il rilievo psicologico è quello del bozzetto, ma ciò appunto s’intona con la levatura e il carattere delle semplici persone rappresentate.
L’arte del Petroselli non è impegnata da complicazioni spirituali, ma sta tutta in una fluida, limpida vena di agile racconto, cui dà valore d’arte la prosa vivacissima, piena di colore, tutta intrisa di movenze e vocaboli popolareschi che le danno un caratteristico sapore. Non dialettismi difficili, non compiacenze verbali regionalistiche; anzi una grande sobrietà, in questo senso. È la più sottile virtù della lingua parlata che egli è riuscito a trasfondere nella sua prosa; così bene, che le stesse immagini, le stesse similitudini hanno la semplicità, l’immediatezza, l’evidenza plastica di quelle che fioriscono sulle labbra del popolo. Il tono del libro sta in una specie di umorismo realistico che non tradisce mai la commozione, neanche quando i particolari narrati sono i più adatti a commuovere chi legge. Su questo tono è narrata la vita dell’asino Ruzzante, che conosce un periodo di gloria quando è adibito a tirare il calesse del proprietario e che anche nei momenti in cui più sembra semplice strumento di locomozione, è causa determinante delle situazioni e finisce sempre col divenire protagonista rispetto al padrone scarrozzato e al fittavolo che tiene le redini. Il libro, per questi suoi pregi schietti d’arte e per il tono che abbiamo accennato, si ricongiunge alla migliore tradizione bozzettistica della nostra letteratura recente e rivela nel Petroselli uno scrittore di bella vena, di ottime possibilità stilistiche e capace di darci una prosa che innesta, senza sforzo, sulla nostra viva tradizione il meglio della più attuale modernità.
SALVATORE ROSATI
- Il giardino di Esculapio – rivista trimestrale, 1936, numero 4 (ottobre 1936), Omaggio prodotti Roche S.A – Milano, Redattore Capo: Dott. Roberto Isenburg
Responsabile: Nicola Moneta
Il romanzo di un asino
“Ruzzante” (Bemporad, L. 10) ha prima di tutto questa singolarità: che il protagonista è un asino. Avventure di bestie ce ne sono josa, ma pochi asini finora avevano avuto l’onore di formar materia d’un romanzo: quello di Apuleio era un uomo travestito.
L’autore, Filippo Petroselli, medico psichiatra a Viterbo, ha avuto una di quelle idee da cui possono nascere i capolavori; e, se il capolavoro non c’è, c’è tuttavia un libro amenissimo d’uno scrittore che ha un vero talento letterario e non soltanto l’inclinazione d’un dilettante che spenda piacevolmente nella letteratura i ritagli di tempo concessigli dalla professione.
Ruzzante è nato – d’un’asina stracca – a marzo, col codino spelato e balzano da uno: ragioni dei più umilianti pronostici. Il contadino, che aspettava una femmina, è dunque doppiamente scontento; il padrone del podere e della bestia, che è un uomo a modo suo, fonda poi su quell’asino il progetto di viaggiare, se non proprio il mondo, i paesi d’attorno; e gli episodii de’ viaggi (prima c’è una famosa invasione della chiesa da parte di Ruzzante, con carrozzino, contadino e signore), dominati dalle piccole successive catastrofi che l’asino fantastico provoca, sono la materia del racconto lieve e arioso.
Arioso non è una parola messa qui per metterne una di più, come accade ai critici che se la cavano con gli aggettivi a non dir niente in pagine o colonne: è, crediamo, l’indicazione esatta del maggior pregio del libro. Perché il cavalier Biagio Chioppi e il contadino Gianmeco sono disegnati con vivacità e Ruzzante è una simpatica bestia indiavolata, ma certe rapide e sicure visioni di paesi e di ore, certe descrizioni a tocchi svelti e animatori ci sembrano artisticamente il meglio. Un’aria solatia e un riso d’orizzonti fanno lieto lo spazio in cui Ruzzante si lancia a orecchie ritte e ragliando.
Un esempio: una fine d’estate. “Moribonda era l’estate. Le stoppie, già guaste dalle vacche, eran brunite dalle prime piogge. Le vigne con qualche foglia accesa: pochi acini neri. Tonfi sordi di pomi non schietti. Lavati i monti. Più frequenti ed irrequiete le adunanze delle rondini sulle grondaie e sui fili per discutere l’imminente viaggio. E sciamavano senza ragione, all’improvviso, con uno stridio di bestiole spaurite per tornar subito alla casa ospitale, come pentite. Spente le lucciole. Morte le cicale. Smorzato il ronzio dei mosconi. Più lunga la vita delle stelle e più fresche le mattine”. C’è tutto: c’è il respiro dell’autunno che s’affaccia; e non ci sono le solite reminiscenze libresche che affaticano questa specie di descrizioni.
Ci sarebbe voluta una più solida tessitura di narrazione. L’autore avrebbe dovuto evitare all’umorismo di sbracarsi in farsa, come nell’assurdo processo in corte d’assise con la condanna dell’asino alla perdita dei denti anteriori e, peggio, nelle violenze del cavaliere e della folla su una lettrice di discorsi. E avrebbe fatto bene a usare una punteggiatura meno caotica, ad abusare meno dei punti esclamativi e interrogativi accoppiati e a non lasciarsi scappar dalla penna i “se avesti” invece di “se avessi”. Nei, derivati – se non erriamo – da una certa estemporaneità di scrittura, ma che si vorrebbe veder scomparire da un romanzo degno di fortuna, dove abbondano le osservazioni felicemente espresse e le scene e scenette gustose presentate in uno stile franco, snello, asciutto, privo di stracche fraseologie e di ridondanze pretenziose.
ETTORE JANNI
1937
- GIORNALE DI BATTERIOLOGIA E IMMUNOLOGIA, Bollettino clinico ed amministrativo dell’Ospedale Maria Vittoria – Torino, Direttore Azzo Azzi (novembre 1936 / novembre 1937)
Alcuni medici in Italia trovano modo di distrarsi dalle quotidiane cure che la loro professione comporta, dilettandosi di lettere e di arte. È così il caso dell’amico e collega Prof. Petroselli di Viterbo, il quale è scrittore elegante e forbito. Il suo Ruzzante, brioso e satirico, si legge d’un fiato. Certi episodi umoristici rivelano le grandi doti dell’A.
Altro ottimo libro è Sole malato, a carattere diverso dal primo, ma non meno bello e interessante. È esso pieno di sentimento e di umana pietà. Certi episodi toccano il cuore e commuovono.
Azzo Azzi
- DIFESA SOCIALE Rivista mensile di igiene previdenza e assistenza sociale (novembre 1938)
Prof. Filippo Petroselli – Ruzzante (Bemporad Firenze). – Il fabbro meraviglioso (Ed. Ancora Milano).
Filippo Petroselli è un medico viterbese: di più è un medico valente che possiede larga fama fra i propri colleghi e fra coloro i quali debbono avere il non gradito piacere di ricorrere ai medici. Al di fuori e al di sopra della propria professione – resta a determinare se, da un lato pratico, possa dirsi al di sopra – Petroselli è ottimo scrittore. Uno scrittore il quale, fino ad oggi ci ha dato sette o otto lavori tutti scritti con molto garbo e tutti di perfetto gradimento del pubblico oltre che della critica: per un medico il riuscire gradito al pubblico non è poco né cosa secondaria.
Oggi è indiscutibilmente il tempo dei medici per la letteratura. Non si sa quale fatto o quale stato d’animo abbia portato quella savia persona, un po’ chiusa in sé e un poco legata a un lavoro faticoso, che è il medico, a darsi alla penna che un tempo usava soltanto per stilare illeggibili ricette quasi per un senso di segreta alleanza con l’altro suo amico affine il farmacista. Tempo di medici, per la letteratura: il nord ci ha dato un Cronin che è medico valentissimo e scrittore di fama mondiale; l’Ungheria ci presenta altri medici fra la larga schiera dei suoi letterati. E i lettori si stanno volgendo con una larga simpatia ai lavori narrativi di questi medici che hanno dimostrato una profondità di sentimento e una acutezza di analisi non apparse in molti scrittori professionisti. Tanto che nessuno può nascondersi il successo del romanzo ultimo di Cronin “Cittadella” il quale è infine il romanzo del medico e delle sue involuzioni morali.
Da molti si è discusso perché improvvisamente i medici siano usciti alla ribalta della letteratura con tale vigore e con tale compostezza, ma soprattutto con tanta efficacia. Certamente dipende dal fatto che il medico, il professionista destinato a stare più vicino all’umanità e nel momento in cui l’umanità soffrendo scopre il cuore e le sue pecche e le sue bellezze, ha il dono di potere vedere a nudo l’animo umano e quindi, se dotato di una certa sensibilità artistica, di rappresentarlo con maggiore efficacia e con più profonda verità. Deriva certamente dall’altro potere che è proprio dei medici questa abilità di cogliere le verità morali: la diagnosi della malattia, nella quale il dottore di vaglia deve sempre scendere nell’animo del malato come con gli occhi entra nel suo corpo. Niente da discutere perciò se oggi questa categoria professionale ci dà i migliori romanzieri.
Ma in generale i medici scrittori sono dei pessimisti, dei pittori delle tare umane che nel dolore fisico escono immediate e nette: in generale sono dei rappresentatori scettici delle asprezze sociali e delle bassezze umane che a loro balzano agli occhi negli ospedali e nelle tensioni estreme del malato. Poi spesso sono dei materialisti che hanno fatto della vita un fatto meccanico e fisico nel quale si inserisce l’altro morale espresso rudemente attraverso il dolore.
Perciò stupisce e fa categoria a sé Filippo Petroselli il quale – forse unico dei medici – è un sottile umorista impastato di buon sangue e di una parlata abile e fresca. Questo medico che sa sorridere con una bocca fresca e scrivere con penna lieta pure attraverso il viatico quotidiano della propria professione rappresenta una eccezione mirabile e degna di specialissima considerazione. Il suo stile non risente di nessuna pesantezza professionale né di alcuna malinconia, ma di quello spirito leggero e composto che è proprio dei toscani e di quella scrupolosità di osservazione che solo chi vive molto in mezzo alla gente può possedere. Ecco perché Petroselli merita un capitolo a parte fra i letterati medici dei quali gli albi nostrani non sono molto fitti.
Abbiamo letto in questi tempi i due ultimi romanzi umoristici di Petroselli e ci siamo raffermati in questa convinzione, provandone un sottile gusto, sia per la buona architettura narrativa che per la piacevolezza del racconto, condotto sempre, con quel garbo che rivela mestiere e, oltre mestiere, il dettame dell’arte quale va intesa da chi scrive con mete giuste e nette. L’umorismo di Petroselli non esorbita mai da quella misura garbata dalla quale noi italiani siamo portati spesso e purtroppo ad uscire.
“Ruzzante” e “Il fabbro meraviglioso” sono queste ultime due opere che abbiamo lette in questi tempi. Nell’una si parla di un sapiente somaro che è protagonista del racconto; nell’altro si intreccia una vicenda un poco umana e un poco fantastica che termina felicemente come deve avvenire di solito nei racconti di fantasia e di umorismo.
Petroselli ama descrivere l’ambiente borghigiano e rustico e quella mezza borghesia semplice e astuta che sta a cavallo del secolo scorso; ma non fa mai delle caricature, bensì individui vivi e parlanti che possono avere posto ovunque e che sono piacevoli proprio per questo fatto. La sua terra è la terra sana che ha forza di fare faticare gli uomini come di farli sorridere con l’effluvio suo naturale. Il suo stile è scorrevole e incisivo, senza soste a scopo di inutile letteratura ma senza sciatteria per correre incontro al fatto.
Vi è da concludere che piace assai questo medico scrittore e psichiatra, ottimista e sorridente, il quale sa cogliere dalla propria professione gli elementi profondi per rappresentare la vita senza cadere nel pessimismo crudo degli altri scrittori formatisi negli ospedali; questo medico che sa fare sorridere senza perdere la propria umanità. E questo è anche il parere di numerosi notissimi critici italiani e stranieri che con maggiore autorità della nostra hanno parlato degli scritti dell’egregio Autore.
G.P.G.
1939
- Turismo d’Italia (agosto 1939)
Filippo Petroselli, Ruzzante, Ed. Marzocco, Firenze
Il fabbro meraviglioso, Ed. Ancora, Milano
La produzione di quell’originale e solitario narratore che è Filippo Petroselli è ormai ragguardevole e degna di tutta l’attenzione e preferenza dei lettori, come già lo fu e lo è da parte dei critici più illustri soprattutto di quelli di fine gusto e di vista panoramica, tra i quali primissimo Ercole Rivalta.
Dal giovanile lavoro “La Via”, raccolta di novelle allegoriche e morali, dove già è in germe il futuro scrittore forte, completo e significativo, che fu allora lodata dal Mazzoni come geniale ed originale, a questo ultimo scintillante e piacevolissimo “Fabbro meraviglioso”, le qualità e le doti narrative di questo scrittore-poeta si sono andate sempre più consolidando ed affinando in opere d’arte certamente vitali.
L’Ampolla della Gioventù fu la sua prima affermazione per solidità di costruzione ed originalità di ispirazione. Questo volume ebbe ottima stampa e vasta risonanza nel mondo delle lettere e dei lettori.
Con “Il Sole Malato” (Edizioni Ancora Milano) libro definito dalla Deledda, pure così severa nei giudizi, “originale, profondo e ricco di umana idealità”, l’autore in un reale-fantastico, un grandioso bianco e nero, venato, soprattutto nella prima parte di fresco umorismo, tocca i più alti problemi morali, sociali e dello spirito, presentandoci tante ed inconfondibili persone dell’immediato dopoguerra, vive tutte delle loro passioni, dolori e desideri; e nella commovente sintesi aspira alla pacificazione dei popoli alla quale prima o poi dovranno pur giungere. La morte del vecchio pensionato, signor Donato, cacciatore ed amatore timido e di poca fortuna, tocca i vertici dell’arte narrativa per semplicità, evidenza e pathos. Nel “Ruzzante” (Editrice Marzocco, Firenze) opera festosissima ed originale costruita con scultoreo stile descrittivo e che ora, lodevolmente, va entrando nelle scuole medie come libro di lettura e compare a brani in antologie, la completezza artistica del Petroselli è evidente. In Italia e fuori critici illustri hanno ammirato questa scintillante storia dell’asino geniale e dei suoi padroni, le loro briose, spassose e straordinarie avventure, come uno dei più belli e solidi libri usciti nel dopoguerra: libro destinato a dilettare ed istruire piccoli e grandi. Non solo oggi, Cesareo a proposito di questo libro, fece il nome di Dickens, i critici letterari dell’ “Ora” e dell’ “Osservatore Romano” quello del Cervantes … Col recentissimo “Fabbro meraviglioso”, l’avventurosa storia di Ghia, paese dell’Italia media, per vivezza di descrizioni, originalità di persone, finalità morali, intreccio semplice ed umano e vero umorismo scoppiettante senza tregua, l’autore prosegue per la sua via, senza badare a stranezze e volubilità di moda. È fedele solo al suo credo artistico: l’arte deve essere, quella vera, la nobile consolatrice della vita, nei tanti piccoli e grandi guai dell’esistenza.
Questi i lavori principali. Ma poi innumerevoli sono le novelle, i brani di prosa (notevole “Sole e cenere” ossia l’interessante racconto, cui è sfondo la spaventevole fine di Pompei), sparsi su riviste e giornali, scritti attesi, ricercati, perché ricreanti per la vivezza ed originalità degli argomenti e per la manzoniana arte di svolgerli e di esporli. Ed anche brevi poesie e poemetti si trovano purtroppo ancora qua e là non raccolti in volume. Notevoli per l’ispirazione, i poemetti per la Bisentina e la Martana, isole del lago di Bolsena. In quest’ultima è descritta, commovendo profondamente, la fine su quel solitario scoglio della regina Amalasunta fatta relegare colà dal marito Teodato.
Più che tante bolse riscritture ed avvelenanti immoralità tradotte, i volumi del Petroselli, tutti solitamente costruiti con semplicità di stile in puro e sonante italiano, tutti divertenti e sereni, interamente ispirati alle idealità di famiglia e di morale, pervasi tutti da un vago e ricreante senso della natura e da ottime descrizioni dei nostri paesaggi, non dovrebbero mancare in ogni biblioteca di persona colta e tanto meno in ogni casa desiderosa del bene e dell’avvenire dei figli.
A. Giurelli

