
È il terzo e il più esteso dei romanzi di Filippo Petroselli, pubblicato nel 1936 dalla Editrice Àncora che, costituitasi nel 1934, affondava le sue radici nell’attività educativa di Lodovico Pavoni (Brescia 1784 - Saiano, Brescia, 1849), fondatore della Congregazione religiosa conosciuta come Pavoniani o “degli Artigianelli”, ed è tuttora in attività.
Contenuti di questa pagina:
- INTRODUZIONE
- RILEVANZA STORICO-LETTERARIA E RIFLESSIONI SUL MONDO CONTEMPORANEO
- BIBLIOTECHE DOVE L’OPERA RISULTA DISPONIBILE
- CITAZIONI DAL LIBRO
- INDICE
- SELEZIONE DI TESTI PUBBLICATI NELLO STSSO ANNO (1936)
- LINK CORRELATI
Testi a cura di Rosa Rossi Palange e Alessandra Palange
INTRODUZIONE
Un’epigrafe campeggia nella pagina che precede l’incipit del testo. Si tratta della citazione di un giudizio sul romanzo espresso da Grazia Deledda: “… libro ricco d’idealità, originale e profondo …”. Sono parole tratte da uno scritto più ampio, forse una lettera, della quale si è mantenuto il ricordo ma di cui non si è trovata traccia tra le carte consegnate e conservate nella Biblioteca consorziale di Viterbo (https://www.bibliotecaviterbo.it). In ogni caso, le parole superstiti non contengono alcun riferimento alla vicenda che, ambientata nel primo dopoguerra in un contesto circoscritto e perfettamente riconoscibile (Viterbo e i suoi dintorni), ha come protagonista una piccola comunità in cui i singoli personaggi incarnano situazioni, caratteri, sentimenti rappresentativi dell’umanità, della disumanità di cui è capace e del drammatico predominio della seconda sulla prima.
Proprio per il prevalere dell’odio in tutte le sue forme, al quale i buoni inutilmente cercano di fare fronte, l’intera vicenda, con tutte le sue implicazioni, si avvia – inevitabilmente – al finale apocalittico, determinato dall’intervento dell’Essere supremo di fronte all’incapacità della sua creatura umana di superare i contrasti per realizzare un mondo di pace e rispetto.
Il romanzo è costituito da due parti composte, rispettivamente, di venti e quattordici capitoli.
Le vicende si snodano nell’arco di circa un anno e mezzo, tra la città, la pensione gestita da una signora tedesca che ha perso i due figli in guerra e che riprende faticosamente la sua attività, e i luoghi dei dintorni. In questi luoghi si muovono i personaggi che, a vario titolo, ruotano attorno alla pensione ciascuno con il carico delle vicende personali che emergono nei piccoli fatti quotidiani, nei dialoghi, negli stratagemmi per affrontare le difficoltà. Ci sono il parroco, il cacciatore e il suo cane, il signorotto locale violento e pieno di boriosa prepotenza, le persone di passaggio, gli ospiti. C’è il giovane di colore al servizio del signorotto, giunto a seguito delle guerre coloniali con tutto il portato della sua storia personale, il nome che gli viene imposto (Pasqualino) per una sorta di ‘normalizzazione’, i maltrattamenti di cui viene fatto oggetto dal ‘padrone’ (e non solo) e i pregiudizi per il colore della pelle. Poi c’è Blandina, la giovane ragazza al servizio della pensione, anch’essa ai margini della società per essere figlia illegittima.
Proprio la presenza di questa comunità diversificata offre all’autore l’opportunità di passare in rassegna una varia umanità rappresentativa del genere umano, toccando questioni di rilevanza generale, acuite dagli esiti di una guerra di proporzioni mondiali i cui strascichi sono destinati a permanere nel tempo. Si segnala, tra tutti, la difficile e, al tempo stesso, delicata storia d’amore tra Pasqualino e Blandina, diversamente emarginati, con tutte le implicazioni di un matrimonio misto.
Nell’ideazione, nella composizione e nella conclusione apocalittica del romanzo è evidente l’influenza delle esperienze vissute dall’autore in qualità di medico, sempre in prima linea, durante la Prima guerra mondiale. La consapevolezza dei terribili strascichi che la guerra porta con sé e le profonde convinzioni umanitarie, rafforzate dalle vicende che si snodano nel corso degli anni Venti, portano l’autore a ipotizzare una seconda guerra di proporzioni mondiali. Si trova conferma di ciò in un appunto trovato tra le sue carte: “Appena nel ’25 riconobbi per l’aria il satanico odor di polvere fui ispirato a scrivere Il sole malato, il cui spirito essenziale ed accorato è contro gli armamenti sterili e folli e contro le guerre aggressive …” (parole di Filippo Petroselli dagli appunti personali in un archivio perso in data sconosciuta riprodotto da R. Rossi in “Temi compositivi nella prosa di Filippo Petroselli” pubblicato da Biblioteca e società nel 1977 e successivamente ripubblicato in R. Rossi, Dalla stagione dei romanzi alle raccolte di novelle. Appunti sulla narrativa di Filippo Petroselli (1922 – 1937; 1949 – 1953), in Biblioteca e società 2023)


Nelle foto: La macchina di Santa Rosa e i facchini che la trasportano (Settembre 2018).
RILEVANZA STORICO-LETTERARIA E RIFLESSIONI SUL MONDO CONTEMPORANEO
La storia de Il sole malato è ambientata nel 1919 mentre la pubblicazione del libro avviene nel 1936. Questo intervallo di diciassette anni porta l’autore a riflettere sul peso degli accadimenti tra le due date, a ridosso dal suo ritorno da cinque anni (1913-1919) trascorsi prima sul fronte libico, poi sul fronte della Prima guerra mondiale come tenente medico e capitano medico, dove è trattenuto fino all’agosto del 1919 per far fronte al diffondersi del vaiolo e della pandemia.
Nel crescendo degli avvenimenti politici, istituzionali ed economici che contraddistinguono il secondo decennio del XX secolo in Italia, nasce in Filippo Petroselli l’idea per una narrazione capace di denunciare i mali di una guerra coloniale e di uno scontro teso a ridefinire i confini delle nazioni europee, provocando centinaia di migliaia di morti e lasciando segni indelebili tra le popolazioni.
Dalla narrazione derivano questioni di grande complessità, difficilmente risolvibili nel breve e nel lungo termine: il dolore che provoca odio; l’incontro/scontro tra persone provenienti da popolazioni con caratteristiche fisiche e culturali diverse che genera rifiuto, incomprensione, pregiudizio; la smania di chi occupa posizioni di potere politico ed economico che si traduce in sopraffazione nei confronti dei più deboli.
Queste ed altre ancora sono le questioni che si manifestano in una piccola comunità ai margini di una città di provincia, ruotando attorno ad una pensione situata nell’area del Bagnaccio, ossia del parco termale naturale che si trova a pochi chilometri della città di Viterbo, noto e utilizzato fin dalla antichità.
L’ambientazione in un territorio circoscritto – tra Lago di Vico, Viterbo, il Bagnaccio, il Borgo di Sant’Eutizio (nei pressi di Soriano nel Cimino) – fa del romanzo un esemplare della letteratura di ambientazione regionale che caratterizza tanta produzione italiana di quel periodo. Pur offrendo l’occasione per rievocare vicende storiche, leggende, tradizioni religiose e di costume (esemplare, il capitolo dedicato alla patrona della città – Santa Rosa da Viterbo – e alla tradizione centenaria del trasporto della Macchina di Santa Rosa), la narrazione – nell’evolversi drammatico della situazione – travalica i confini regionali per assumere un significato profondamente e pienamente universale.
Dal punto di vista sociopolitico:
La comunità protagonista dell’intera vicenda diviene infatti un exemplum della condizione umana che, travolta dalla smania di nazionalismo, di odio, di supremazia del potente sul debole, del bianco sul nero, del ricco e potente sul povero e sul debole, troppo tardi si rende conto che la luce del sole si va affievolendo e, di conseguenza, le temperature si abbassano sensibilmente giorno dopo giorno, portando fame, distruzione, morte.
L’Essere superiore – resosi conto della disumanità che serpeggia e si acuisce tra gli uomini – interviene per porre fine ad una umanità rivelatasi disumana. I buoni e, con loro, quanti, seppure in ritardo, capiscono, non possono far altro che unirsi in preghiera per invocare l’Essere supremo implorando di essere accolti alla sua presenza. Rileggerlo oggi – a distanza di oltre cento anni dalla fine della Prima guerra mondiale, di quasi ottanta dalla Seconda guerra mondiale, i cui esiti sono ancora drammaticamente operanti sui fronti di guerra attivi in questo inizio di nuovo anno (2024) – potrebbe essere un auspicio per un ripensamento e un rinnovamento del significato di umanità.
Dal punto di vista tecnologico-ambientale:
Il romanzo può portare ad una riflessione sul rapporto dell’uomo con l’ambiente. L’abbassamento repentino delle temperature e il conseguente congelamento di cose, animali e uomini dovuto – come una sorta di contrappasso – alla malvagità e ai vizi degli esseri umani possono essere paragonati al loro rovescio, ossia alle condizioni climatiche attuali, all’inarrestabile riscaldamento dovuto a certe attività umane, all’avidità dei pochi sui molti e alla convinzione che il progresso e il profitto (a scapito dell’ambiente e delle comunità più vulnerabili) possano essere illimitati.

BIBLIOTECHE DOVE L’OPERA RISULTA DISPONIBILE
- Biblioteca nazionale centrale – Firenze
- Biblioteca comunale – Caltavuturo (Palermo)
- Biblioteca Marco Besso – Roma
- Biblioteca Universitaria – Pavia
- Biblioteca consorziale di Viterbo – Viterbo
- Biblioteca comunale Francesco Pometti – Corigliano-Rossano (CS)
CITAZIONI DAL LIBRO
La dicotomia tra l’incipit del romanzo – un agnellino appena nato che succhia il suo primo latte dalla mammella di mamma pecora nel quadro luminoso, liricamente descritto, della valle del Lago di Vico – e l’explicit – una processione di persone in preghiera che si avviano alla morte nel gelo che tutto serra e uccide – non potrebbe essere più efficace per il messaggio di pace, di rispetto, di generosità che l’autore ha inteso trasmettere con l’immagine terrificante di un’umanità che muore stretta nella morsa dei ghiacci sperando di trovare pace e serenità nel regno dei cieli.
INCIPIT
L’agnello, in ginocchio e scodinzolante a ciglia basse, picchiava la madre che, immersa fino ai fianchi, ornati di innumerevoli orecchini di fango secco, nell’erba in fiore, godeva la dolce violenza con gli occhi incantati alla valle che si risvegliava in un ampio sorriso.
Il monte Fogliano, rinchiomato dal verde tenero dei faggi, premeva il bruno piede verso la chiarezza ancora livida del lago di Vico.
Intorno, per i fianchi delle colline, querce e cerri ascendevano a gara, per dominar di lassù la valle, all’affacciarsi del sole.
La collina di Venere sola, al di là delle acque: l’eterna amante, dannata ad affiorare appena con la bionda testa, protendeva sul lago la lingua tremula di biade, avida di lambire il piede dell’amante da millenni incatenato sulla soglia della felicità; le dita verdi affondate su la rena brillante e su le cannucce della riva.
Sentono i due amanti il fremer dell’acqua che racconta dì e notte, sospirando, l’insaziata passione appresa dall’inquieto stormir delle loro faggete.
Per gli orli dei monti qua e là, gialli cuscini di ginestre. Nella notte, con voluttà, v’abbandonan la testa le fate quando sono stanche di costruire sogni ed affidarli ai lucenti fili delle stelle per i bambini buoni e lontani. Esse vagano ed odorano ogni fiore, respirano caldo sui boccioli perché s’aprano, ascoltano il pigolìo tenero dei nidi che si svegliano ogni tanto al luccichìo delle stelle e nei pleniluni le rime degli usignoli in amore, scansando con tenera cura, le iniziate tele di ragno.
Sotto il pettine lieve del vento, i prati, incensando profumi, ondeggiano più verdi del lago che ad oriente è seminato d’ombre e perle.
Succiameli, papaveri, margherite, gladioli, lupinelle, timi, vecce, gigli, canutelle sorridono sotto la luce nuova che asciuga ad ogni fiore la rugiada pendula come un brillante odoroso.
Col sole, le rime degli usignoli si fanno sommesse. I fringuelli spiegano invece il canto a piena gola. Chioccolano serio i merli sulle frasche rinverdite.
Nella conca aperta come una grande tazza di smeraldo, profumi, aliti, colori, s’intrecciano ineffabilmente in un’armoniosa ed invisibile danza.
DAL DIALOGO TRA PASQUALINO E BLANDINA (cap. V)
La ragazza abbassò il capo. Pasqualino la fissò con occhi ardenti – … lo sapete che voi, voi sola siete il sole della mia vita? la stella della mia notte?! che senza voi … i miei giorni sarebbero neri, neri come questa pelle?! con rabbia se ne sollevò e torse un lembo della mano – che ho? che ho addosso che v’allontana da me? questa maledetta pelle? perché? ma che colpa ne ho io? me la schiererei col coltello … ma poi? … so bene che non ne esce che sangue! … meschino! … perché non abbandonarmi dov’ero nato? perché farmi così soffrire? … ho chiesto … ho gridato … ho voluto sapere! oh! la guerra! Sì! Pasqualino è figlio del battaglione … m’hanno trovato aggrappato alla povera mamma mia che aveva il ventre spaccato dalla mitraglia … fui strappato … non volevo non volevo staccarmi … la mamma! … la mia mamma! Ridatemela mia povera mamma!
EXPLICIT
L’umanità, nell’oblio della vita, con desio ineffabile vuole sollevarsi. Già si sente staccare dalla terra nell’aria dolcemente tremula degli spiriti scesi ad incontrare gli ultimi che salgono.
Il ghigno del male è appena un lamento.
Sempre più fioco.
Non s’ode più.
Ancora la voce. Sola nel Creato.
“Padre nostro che sei nei Cieli! Sia santificato il Nome tuo! Venga il tuo Regno! Sia fatta la tua Volontà, in cielo ed in terra! …”.
“Amen!”
È la voce estrema delle creature verso il Creatore.
INDICE
Prima parte (pp. 7 – 148)
- CAPITOLO I
- CAPITOLO II
- CAPITOLO III
- CAPITOLO IV
- CAPITOLO V
- CAPITOLO VI
- CAPITOLO VII
- CAPITOLO VIII
- CAPITOLO IX
- CAPITOLO X
- CAPITOLO XI
- CAPITOLO XII
- CAPITOLO XIV
- CAPITOLO XIV
- CAPITOLO XV
- CAPITOLO XVI
- CAPITOLO XVII
- CAPITOLO XVIII
- CAPITOLO XIX
- CAPITOLO XX
Seconda parte (pp. 149 – 263)
- CAPITOLO I
- CAPITOLO II
- CAPITOLO III
- CAPITOLO IV
- CAPITOLO V
- CAPITOLO VI
- CAPITOLO VII
- CAPITOLO VIII
- CAPITOLO IX
- CAPITOLO X
- CAPITOLO XI
- CAPITOLO XII
- CAPITOLO XIV
- CAPITOLO XIV
SELEZIONE DI TESTI PUBBLICATI NELLO STSSO ANNO (1936)
Una scelta di titoli, noti e meno noti, pubblicati nello stesso anno dell’opera presentata e utili per lo studio della sua ricezione, permanenza o scomparsa. L’elenco nasce dalla consultazione dell’archivio e della biblioteca di famiglia oltre che dalla consultazione di repertori online (biblioteche, emeroteche, riviste). Nel redigerlo si tiene conto di un principio di ‘inclusione’ di ogni genere di scrittura, compresi i manuali e le riviste d’epoca. Ciò nella convinzione che, per ricostruire la temperie culturale di un periodo, è necessario volgere lo sguardo a tutto tondo su ciò che il pubblico aveva a disposizione e sceglieva di leggere senza nulla escludere. L’elenco viene periodicamente aggiornato.
- Lucilla Antonelli, Sylva, Ceschina, Milano 1936
- Amalia Caterina Baccelli, Terre di sole, Poligrafia Filippini, Roma 1936
- Romano Bilenchi, Mio cugino Andrea, Firenze, Vallecchi, 1936
- Virgilio Brocchi, Gente simpatica, Mondadori, Milano 1936
- Emilio Cecchi, Viaggio in Grecia. Et in Arcadia ego, Mondadori, Milano 1936
- Giovanni Comisso, I due compagni, Mondadori, Milano 1936
- Milly Dandolo, È caduta una donna, Milano, Fratelli Treves, 1936
- Vittorio D’Aste,La reggia del sogno, Artigianelli, Pavia 1931; Àncora, Milano 1936
- Grazia Deledda, La chiesa della solitudine, Fratelli Treves, Milano 1936
- Liala (Amalia Liana Negretti Odescalchi), L’ora placida, Milano-Verona, A. Mondadori, 1936.
- Piero Gadda Conti, Orchidea, Ceschina, Milano 1936
- Salvator Gotta, Portofino, Baldini & Castoldi, Milano 1936.
- Salvator Gotta, L’angelo ferito, Baldini & Castoldi, Milano 1936.
- Curzio Malaparte, Fughe in prigione, Vallecchi, Firenze 1936
- Marino Moretti, Parole e musica, Vallecchi, Firenze, 1936
- Umberto Notari, I pifferi di Ginevra, Società Anonima Notari, Istituto editoriale italiano, Milano, 1936
- Umberto Notari, Il signor Geremia, Società Anonima Notari, Istituto editoriale italiano Milano, 1936.
- Alfredo Panzini, Il ritorno di Bertoldo, Mondadori, Milano, 1936
- Alfredo Panzini, Il bacio di Lesbia, Mondadori, Milano, 1936
- Giovanni Papini, La loggia dei busti. Pensieri sopra uomini di genio, d’ingegno, di cuore, Firenze, Vallecchi, 1936.
- Carlo Pastorino, Orme sull’erba, Artigianelli 1930, Àncora, 1936
- Carlo Pastorino, La casa del villaggio, Àncora, 1936
- Cesare Pavese, Lavorare stanca, Solaria, Firenze 1936
- Renzo Pezzani, L’apostolo dell’illusione, romanzo, Artigianelli, 1933; Àncora1936
- Giacomo Prampolini, Segni, Artigianelli, Pavia 1931, Àncora1936
- Dino Provenzal, Novelle Italiane – Dagli albori della letteratura ai giorni nostri con profili biografici, analisi estetiche e note esplicative, Rondinella, Napoli 1936
- Bonaventura Tecchi, Tra ottobre e novembre (1936); Un contadino (1936); Silenzio (1936), Preghiera (1936), in Antica terra, Bompiani 1968
- Carlo Trabucco, La favola degli uomini vivi, Àncora, Milano 1936
- Arturo Stanghellini, Fermate all’osteria dei ricordi, Fratelli Treves, Milano 1936
- Elio Vittorini, Nei morlacchi. Viaggio in Sardegna, Firenze, F.lli Parenti, 1936 (poi Sardegna come un’infanzia,Milano, Mondadori, 1952)
- Elio Vittorini, Il garofano rosso, in Solaria, Firenze (a puntate, 1933-1936)

